Necropolitica 3/3: Necropolitica e la struttura del peccato, un orizzonte di riflessione aperto

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(dal Blog dell’Accademia Alfonsiana)

In maniera molto sintetica, come ci chiede lo scrivere in un blog, abbiamo visto in articoli passati come il concetto di necropolitica proposto da Mbembe, così come le sue radici nel biopotere di Foucault, ci aiuti a comprendere una modalità di ingiustizia sociale che va oltre il mero atto singolare, per diventare più complesso nella costruzione di strutture socio-economiche-culturali che generano morte ed esclusione.
In linea molto vicina a questa riflessione, il pensiero morale cattolico ha trovato nelle espressioni “peccato sociale” e “strutture di peccato”, un modo per esprimere il proprio giudizio sulle strutture di ingiustizia presenti nelle società moderne che hanno generato e generano veri “olocausti” , uccidendo non solo fisicamente ma, come mostra il pensiero del professor Mbembe, creando un esercito di “morti vivi sociali” attraverso l’esclusione.
Dai numeri 98 al 101 di Veritatis splendor, il Papa san Giovanni Paolo II, riflettendo sui vari problemi sociali che mettono a rischio il rispetto della dignità umana, percepisce come diversi elementi presenti non solo nella politica, ma anche nell’economia, si presentino come vere e proprie strutture che minano il diritto alla vita, sottraendo a tanti l’accesso al più basilare per la sopravvivenza, riducendo l’essere umano a oggetto, schiavizzandolo in modi diversi.
È un peccato contro la dignità delle persone e dei loro diritti fondamentali ridurle, con la violenza, a un valore utilitaristico o a una fonte di profitto. San Paolo ordinò a un padrone cristiano di trattare il suo schiavo, cristiano anche lui, «non da schiavo, ma da fratello (…) da uomo nel Signore» (Fil 16)» (Veritatis splendor, n. 100 ).
Lo stesso papa, due anni dopo, nell’Evangelium vitae, sembra riprendere questo argomento, allargandolo verso il riconoscimento dell’esistenza di “strutture di peccato” che operano dall’interno, generando e comunicando una vera “cultura della morte”:
In realtà, se molti e gravi aspetti dell’odierna problematica sociale possono in qualche modo spiegare il clima di diffusa incertezza morale e talvolta attenuare nei singoli la responsabilità soggettiva, non è meno vero che siamo di fronte a una realtà più vasta, che si può considerare come una vera e propria struttura di peccato, caratterizzata dall’imporsi di una cultura anti-solidaristica, che si configura in molti casi come vera «cultura di morte». Essa è attivamente promossa da forti correnti culturali, economiche e politiche, portatrici di una concezione efficientistica della società. (Evangelium vitae, n. 12).
L’attuale insegnamento di Papa Francesco è ricco di elementi che sviluppano il suddetto problema. In particolare, la sua enciclica sociale, Laudato si’, che include la grave questione ecologica di fronte a una cultura e un’economia utilitaristica già secolari, così come la sua esortazione post-sinodale, Querida Amazonia, che affronta problemi di carattere, dovrebbe essere evidenziati fattori socio-politici-economici che mettono a rischio la vita, principalmente, dei poveri e delle popolazioni autoctone della regione amazzonica.
Anche in un altro ambito, quello della cura dei malati critici e terminali, la Congregazione per la Dottrina della Fede, nel febbraio 2020, ha pubblicato la lettera Samaritanus Bonus. In quel documento viene ripresa la problematica delle strutture del peccato e viene messo in luce il pensiero dei Papi Francesco e di san Giovanni Paolo II. Affronta anche il gioco problematico che si instaura all’interno del processo di discernimento nelle coscienze personali.

In questo senso Papa Francesco ha parlato di «cultura dello scarto». Le vittime di tale cultura sono proprio gli esseri umani più fragili, che rischiano di essere “scartati” da un ingranaggio che vuole essere efficiente a tutti i costi. Si tratta di un fenomeno culturale fortemente antisolidaristico, che Giovanni Paolo II qualificò come «cultura di morte» e che crea autentiche «strutture di peccato». Esso può indurre a compiere azioni in sé sbagliate per il solo motivo di “sentirsi bene” nel compierle, generando confusione tra bene e male, laddove invece ogni vita personale possiede un valore unico ed irripetibile, sempre promettente e aperto alla trascendenza. In questa cultura dello scarto e della morte, l’eutanasia e il suicidio assistito appaiono come una soluzione erronea per risolvere i problemi relativi al paziente terminale. (Samaritanus bonus, cap. IV).
Infine, sebbene il rapporto presentato tra il pensiero di Mbembe e il problema del peccato strutturale richiederebbe uno spazio più ampio per una riflessione ben fatta, l’intuizione resta qui come proposta di ulteriore approfondimento. È vero che nelle nostre società moderne il problema del male, che si manifesta anche come struttura sociale, è sempre più sentito. Questo tema è sempre più complesso quando si tocca non solo il classico problema della giustizia, ma anche la libertà di coscienza di fronte all’imposizione culturale e alla restrizione dei diritti.

P. Maikel Dalbem, CSsR

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