Il 13 giugno del 1922 moriva p. Francesco Pitocchi

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Il padre spirituale dei preti di Roma
A cent’anni dalla morte

Ad un secolo dalla morte, avvenuta a Roma nella Casa generalizia dei Missionari Redentoristi, è sempre vivo l’interesse per la figura di p. Francesco Pitocchi, oggetto di numerosi studi. Le sue spoglie, inumate nella cappella della Santissima Trinità, nella Collegiata di San Michele, a Vico nel Lazio (Frosinone), sono oggetto di preghiera e di commemorazioni annuali per numerosi fedeli. L’umile religioso, modello di vita sacerdotale, la cui esistenza si è dipanata nel nascondimento del confessionale, continua da “dietro le quinte” la missione di consigliere spirituale. Sulla scia di sant’Alfonso de’ Liguori, Pitocchi fu “uomo del popolo” e formatore alla vita spirituale di generazioni di presbiteri, religiosi e laici.

La sua parabola biografica affonda le radici in un piccolo comune, dell’allora diocesi di Alatri – oggi Anagni-Alatri – dove nasce il 22 settembre 1852. Orfano di genitori, viene educato dalla nonna e da un ecclesiastico locale che lo prepara ad entrare nel seminario diocesano, diretto dai Gesuiti. Affascinato dall’ideale religioso, spegne l’aspirazione ad entrare nella Compagnia, perché soppressa. Ordinato sacerdote il 22 maggio 1875, espleta il suo ministero tra Collepardo e Vico, reggendo la parrocchia e insegnando nelle scuole pubbliche, in un contesto rurale di marginalità geografica e arretratezza culturale, che Pitocchi contribuì ad elevare con una febbrile attività pastorale e una moderna campagna di alfabetizzazione, fondando e dirigendo scuole serali.

Nel 1885, affascinato dalla predicazione del redentorista Giuseppe Pigioli, entra nella Congregazione del SS. Redentore, trascorrendo la vita religiosa nelle case romane dell’Istituto (S. Alfonso, S. Maria in Monterone e San Gioacchino ai Prati di Castello). Destinato dai Superiori a collaborare alla compilazione dell’epistolario del fondatore dei Redentoristi e alla cura di edizioni popolari delle opere di sant’Alfonso, si dedica contemporaneamente all’insegnamento delle materie umanistiche ai giovani chierici redentoristi, tra cui il Servo di Dio Isidoro Fiorini. Nello stesso tempo, predica numerosi corsi di esercizi spirituali al popolo e alle religiose, in parrocchie ed istituti femminili dell’Urbe.

Assistente delle Figlie di Maria, nelle conferenze traccia le coordinate per un ruolo più attivo della donna nella vita ecclesiale. Responsabile della redazione di un bollettino, nell’erigenda parrocchia popolare di San Gioacchino ai Prati di Castello, condivide con i propri confratelli l’evangelizzazione del popoloso rione romano.

Una malattia invalidante lo costringe a lasciare l’attività apostolica, relegandolo nel confessionale. In quella che sembrava una limitazione, Pitocchi scopre la sua vera vocazione: la paternità spirituale e il ministero della riconciliazione. L’incontro con «un non identificato sacerdote romano» diventa l’occasione per un invito a Roccantica (Rieti), nella «villa estiva del seminario», per l’istruzione settimanale e le confessioni dei giovani candidati, nei giorni di vacanza. Monsignor Vincenzo Bugarini, Rettore del Seminario Romano, e l’équipe formativa constatano l’efficacia del ministero del religioso. Pian piano quasi tutti i seminaristi si rivolgono a lui, trovandovi un autorevole punto di riferimento.

Nominato confessore e direttore spirituale «ausiliario» del Seminario, collabora con il can. Luigi Oreste Borgia (1840-1914), con il quale stringe una profonda amicizia spirituale.

Pitocchi fa così il suo ingresso nella prima e più importante istituzione formativa romana, in un tempo di forti tensioni, originate dalla lotta al Modernismo, trovandosi coinvolto nel progetto di riforma dei Seminari, avviata da Leone XIII e strutturata sotto il pontificato di Pio X. Il rigore e il controllo diventano l’argine al pericolo modernista, dal quale si vogliono preservare i giovani candidati al sacerdozio. I Superiori dei Seminari adottano un regime di austerità che rischia di esasperare i giovani. In questo contesto, contrassegnato da forti tensioni, Pitocchi svolge un ruolo di mediatore. È in grado infatti di accogliere le istanze di rinnovamento e di capire le esigenze intellettuali dei seminaristi, che orienta allo studio della teologia e delle sue fonti, dei Padri e dei classici della spiritualità cristiana. Il religioso insegna a non sopprimere lo spirito critico ma ad esercitarlo in modo pertinente, e a partire dalla sana dottrina della Chiesa, conosciuta e assimilata. Francesco Borgongini Duca, nell’elogio funebre, attestò: «La sua venuta in Seminario fu provvidenziale. P. Francesco con intuito sicuro, previde il pericolo e corse ai ripari. Noi siamo testimoni, noi, che con la maggior parte dei nostri compagni, fummo salvati per la sua sollecita carità».

Pitocchi si presenta con i tratti di un educatore moderno. La sua visione positiva dell’uomo e l’innata pedagogia della benevolenza gli fanno guadagnare sempre più crescente fiducia e stima, al punto che Superiori ed alunni del Seminario si dichiarano suoi figli spirituali.

L’accoglienza, l’ascolto attento di ogni dettaglio e un dialogo schietto e aperto gli consentono di conoscere a fondo i seminaristi. Si interessa di tutti gli aspetti del loro iter formativo, apprezzando e valorizzando le loro qualità e orientandoli gradualmente verso un cammino di santità, il cui fulcro è la conformazione a Cristo. Offre pochi ma validi consigli. Brevità e concretezza sono le cifre della sua metodologia. Il suo intuito psicologico gli permette di adeguarsi all’indole di ciascuna persona guidata e a trovare mezzi e soluzioni adeguati ai problemi che si presentano. La calma imperturbabile, il dono del consiglio e la capacità di discernimento diventano i criteri basilari del suo accompagnamento spirituale, il cui obiettivo è far camminare verso un altissimo ideale di vita cristiana e sacerdotale.

Il suo profilo di padre spirituale ideale si può ricostruire a partire dalle pagine de Il Giornale dell’anima nel quale, l’allora seminarista Angelo Giuseppe Roncalli, durante la fase romana (1901-1905) della formazione seminaristica, annotava le proprie impressioni. Il futuro Pontefice definiva Pitocchi: «il consigliere sicuro e confidente, l’amico più saldo e più tenero, soprattutto il padre, il vero padre, dalla parola nutrita e feconda che forma e sviluppa Gesù Cristo nell’anima per condurla alla virilità della vita cristiana e sacerdotale». E affermava, senza esitazione: «Lo Spirito Santo mi parla per bocca sua».

L’accompagnamento spirituale del redentorista ciociaro si protrasse nei primi anni del ministero presbiterale di Roncalli e dei suoi compagni di Seminario. Lo stesso Cardinale Vicario, Lucido Maria Parocchi – che caldeggiò la nomina di Pitocchi, nonostante le resistenze dei suoi Superiori – gli indirizzava i giovani preti, specialmente quelli in crisi, quando «voleva consigliare la direzione di un vero uomo di Dio». Durante la Prima Guerra mondiale, i Superiori della Congregazione del SS. Redentore, consapevoli dell’ascendente del loro confratello sul giovane clero e sui Redentoristi, gli affidarono la direzione spirituale dei chierici e dei giovani preti al fronte.

Pur rimanendo figlio del suo tempo e attingendo al patrimonio spirituale e teologico di sant’Alfonso, Pitocchi elaborò sul campo una nuova metodologia nella direzione spirituale. Empatia e delicatezza di tratto gli consentirono di instaurare relazioni significative di paternità spirituale, nella quale trovavano armoniosa convergenza dolcezza e fermezza.

Lo testimonierà, alcuni anni dopo la morte del religioso redentorista, Michele Jacchini, suo penitente e padre spirituale del Seminario: «era immensa la fiducia che egli ispirava, per la benevolenza con cui sempre accoglieva, per la saggezza dei suoi consigli, per l’interesse che metteva nel formare in noi, il vero spirito sacerdotale».

L’azione formativa di Pitocchi costituì un equilibrato filtro spirituale, che riportò la formazione ad un riproporzionamento fra pietà e studio. Puntava infatti ad una rivalutazione e riproposizione della centralità di Cristo nella formazione spirituale e nella pietà dei seminaristi. Ad essi, il redentorista additava il Vangelo e «l’aureo libretto» dell’Imitazione di Cristo, per acquisire «la scienza dei santi». La sua dottrina spirituale ebbe i pilastri portanti nell’umiltà e nell’obbedienza fiduciosa. Ai propri figli spirituali, Pitocchi insegnava la fedeltà alla preghiera, la ricerca della volontà di Dio e la conquista della pace del cuore, attinte all’opera di Vincenzo Tarozzi Industrie della pace interiore, testo di riferimento per la propria vita spirituale. Di questa dottrina fece esperienza il giovane Umberto Terenzi, fondatore in seguito dei Figli e delle Figlie del Divino Amore, il quale, negli anni più difficili della formazione, si affidò alla direzione del redentorista. Nel Diario e nelle conferenze ai confratelli religiosi, Terenzi, additava gli insegnamenti del suo «vecchio padre spirituale», dichiarandosi convinto assertore della sua santità. La stessa esperienza, seppure per un breve periodo, fece don Giuseppe De Luca, il quale aveva ascoltato, in più occasioni, le meditazioni del redentorista, nella cappella del Seminario e, occasionalmente, era stato suo penitente. In uno scritto del 1921, De Luca annotò alcuni capisaldi dell’insegnamento spirituale del redentorista: fedeltà alla vita spirituale, amore per lo studio, costanza nel lavoro, spiritualità della croce.

Dello stesso tenore fu l’esperienza dell’allora seminarista Alfredo Ottaviani, il quale indirizzava a Pitocchi alcune poesie in romanesco. In seguito, nel 1960, già Prefetto del Sant’Uffizio, il Cardinale volle accompagnare le spoglie del redentorista, nella traslazione dalla chiesa romana di S. Alfonso, al paese di origine. Nel suo discorso, davanti ad una piazza gremita, definì Pitocchi «colui che ci insegnò a fare la volontà di Dio».

Educatore delle coscienze, il religioso redentorista preparava i giovani candidati al sacerdozio alla loro missione nella Chiesa e nel mondo, cosciente delle trasformazioni epocali, cui sarebbero andati incontro. Molti dei suoi figli spirituali, personaggi di primo piano nella vita della Chiesa del Novecento, portarono nel loro ministero la ricchezza spirituale ricevuta da colui che venne definito il «Gran confessore di Cardinali e di Prelati». Il suo servizio di accompagnatore del giovane clero continuò nel Collegio Leoniano e negli ultimi anni della sua vita nella sua piccola camera nella casa generalizia di S. Alfonso in Via Merulana, dove lo raggiungevano intere camerate di seminaristi, preti, religiosi, vescovi e cardinali, laici e confratelli, per ascoltare una parola ispirata dal dono del consiglio, che p. Francesco, aveva ed esercitava in modo efficace.

Ricordare p. Francesco Pitocchi nel primo Centenario della morte costituisce certamente un modo per rendere grazie al Signore che non cessa di rendersi continuamente presente nei tanti uomini e donne che, con dedizione e sapienza, guidano nella vita secondo lo Spirito numerosi credenti in Cristo, specialmente seminaristi e presbiteri.

Vincenzo La Mendola C.Ss.R.

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