La porta nella Bibbia: significato cristologico, soteriologico ed ecclesiologico della metafora

0
276

Continua con questo la serie sulle parole-chiave del Giubileo 2025, pensata in forma dialogica: a un primo intervento di un docente dell’Accademia Alfonsiana segue un secondo contributo scritto da uno studente. Seconda parola-chiave: Porta – Post 1/2.

L’articolo di Prof. Krzysztof Bieliński CSsR:

Tra le parole del Giubileo, “porta” – con il suo appellativo “santa” – occupa un posto preminente per il suo ampio significato simbolico e teologico. Per descrivere le “porte”, la Scrittura utilizza diversi termini. I più significativi, perché ricorrono con maggiore frequenza nelle pagine della Bibbia ebraica, sono i tre seguenti: שַַׁער (shaar), פַתח (ֶּpetah) e דֶלתֶּ (delet)[1]. Il primo di questi definisce le porte: dell’accampamento, del tempio (anche del suo cortile) e della città (più spesso), ma anche il collegamento ad esempio con la città, lo spazio tra la porta interna e quella esterna, la porta come luogo, le porte di Gerusalemme.In senso figurato שַַׁער (shaar) ricorre nelle frasi: “la porta del cielo” (Gn 28,17), “la porta dello Scheol” (Is 38,10), “la porta della morte” (Gb 38,17; Sal 9,14), “la porta della giustizia” (Sal 118,19). Il termine פַתח (ֶּpetah) è tradotto come apertura, ingresso (alla tenda; alla casa, al tempio e alla sua corte e alla città), passaggio, porta, ma anche la porta stessa, il portone. Metaforicamente è usato nella frase “porta della speranza” in Os 2,177. Il terzo termine ebraico דֶלתֶּ (delet) significa una porta, un battente, ma anche la porta di una casadi una città o di un tempio. Oltre al senso letterale, è usato in senso figurato, ad esempio nel Sal  78,23 e indica “la porta del cielo”. Per dire poeticamente che la manna viene da Dio, è stata usata questa espressione: «aprì le porte del cielo; fece piovere su di loro la manna per cibo». 

La lingua greca, invece, utilizza i seguenti termini: πύλη (pyle), θύρα (thyra), εἴσοδος (eisodos), πυλών (pylon), πρόθυρον (prothyron)[2]. Il termine frequentemente usato più della metà delle volte nella Bibbia greca (362 volte) per indicare la porta – è πύλη, che significa la porta, anche la porta dell’abisso, e in senso figurato: l’accesso, l’entrata in qualche stato. La parola θύρα (porta, portone, uscio, ingresso) invece, ricorre nella Bibbia 214 volte nell’Antico Testamento e 39 volte nel Nuovo Testamento. È con questo termine che Gesù si definisce nella pericope sul buon pastore e sulla porta (delle pecore) in Gv 10,1-21.

L’importanza della porta nell’antichità non si limitava a considerarla come l’ingresso di una casa, di un tempio o di un’intera città. Le sue funzioni erano legate alla sua costruzione, in quanto una porta antica era spesso un complesso di stanze utilizzate per una varietà di scopi, non solo un ingresso in sé. Le antiche porte erano anche luoghi di incontro, centri di vita urbana e di scambio di idee. La porta rappresentava il luogo a cui essa dava accesso (Is 38,10; Sal 107,18). Particolarmente nel tempio di Gerusalemme la porta di accesso al santuario coincideva con l’incontro e comunione con Dio (Sal 24,7; 118,19-20; Is 26,2)[3]. Le porte delle case proteggevano i membri della famiglia dai pericoli esterni e dagli svantaggi. La porta della città forniva protezione dai nemici, rappresentava salvezza e sicurezza.

La metafora della porta caratterizza la storia della salvezza racchiusa tra una porta che si chiude (Genesi) e dodici porte che, alla fine della storia, si aprono (Apocalisse). Dio, a causa del peccato dei progenitori (Gen 3,23-24), chiude la porta dell’Eden. Dopo che la porta del paradiso è stata chiusa, l’uomo non comunica più familiarmente con Dio. Sarà il culto a stabilire una relazione tra i due mondi, quello divino e quello umano. 

In Gen 28,18 il patriarca Giacobbe dopo la visione della scala che raggiungeva il cielo, esclama: «Questa è la porta del cielo». “Porta del cielo” è l’espressione biblica per indicare la frontiera tra Dio e noi, ma “in cielo” c’è Dio che ci attende. Segnaliamo già qui, che nel vangelo di Giovanni questa scala, “porta del cielo”, è Gesù che apre l’accesso al Padre (cf. Gv 1,51).

L’israelita che si presenta alla porta del tempio desidera avvicinarsi a Dio (Sal 100,4). Quando il tempio viene distrutto, Israele si rende conto che l’uomo non può salire al cielo; perciò, nella sua preghiera, chiede a Dio di squarciare i cieli e di scendere lui stesso (Is 63,19); prenda Lui, dunque, la guida del gregge e gli faccia varcare le porte (Mi 2,12s). Questo desiderio viene esaudito da Gesù[4].

In Ap 4,1, proprio nell’introduzione alla parte delle visioni, il veggente vede “una porta aperta (thyra ēneōgmenē) nel cielo”L’Apocalisse di Giovanni ci fa vedere realizzati gli annunci di Isaia, Ezechiele e Zaccaria, la nuova Gerusalemme, simbolo della comunione dell’umanità con Dio, circondata da dodici porte sempre aperte (Ap 21,12-13). Nel giorno futuro la protezione delle porte sarà superflua, perché le minacce del male saranno state rimosse, il male non vi entra più. Le porte della nuova Gerusalemme «non si chiuderanno di giorno poiché non vi sarà più notte»[5].

Il motivo delle porte del cielo molto usato nella Bibbia indica visioni e rivelazioni[6]. È di grande importanza quando si tratta della metafora della porta nel contesto della storia della salvezza rivelata nella Bibbia il fatto che al battesimo di Gesù il cielo si apre (cf. Mc 1,10; Lc 3,21; Mt 3,16). Nei testi sinottici che raccontano l’evento non sono menzionate le porte, ma si parla soltanto dell’apertura del cielo – un preludio di salvezza, perché Gesù stesso diventa la vera porta che collegherà il cielo e la terra (Gv 1,51; cf. Gen 28,17), la porta che introduca ai pascoli dove i beni divini sono liberamente offerti (Gv 10,9), l’unico mediatore. Per mezzo suo Dio si comunica agli uomini, per mezzo suo gli uomini riceveranno accesso al Padre (Ef 2,18; Ebr 10,19). 

Nel Vangelo di Giovanni nel discorso sulla porta (Gv 10,7.9) si trova l’autodefinizione di Gesù quale «porta / ἡ θύρα». Questo testo contiene un’affermazione di non poca importanza, in quanto esso viene introdotto in modo solenne col doppio «amen» e con «ἐγώ εἰμι», l’espressione che in assoluto indica l’autorivelazione di Gesù e col predicato un aspetto della sua funzione messianica. Al v. 7 Gesù aveva detto «Io sono la porta delle pecore». Questo enunciato metaforico dice che tramite il rapporto con Gesù che la pecora accede al recinto, è attraverso di lui che una pecora diventa membro del popolo di Dio[7]. Al v. 9 non dice più delle pecore,ma semplicemente «Io sono la porta» e aggiunge «se uno entra attraverso di me, sarà salvato». Spiega Adriana Bottino che qui «non è più soltanto porta delle pecore della paroimia [cioè del testo di Gv 10,1-5] che hanno ascoltato la voce del pastore che le ha fatte uscire dal recinto del giudaismo, ma di chiunque entri per mezzo di Lui»[8]. Egli è la porta che conduce alla salvezza. Introdotto qui il verbo «salvare» esprime quindi la dimensione soteriologica di Cristo-porta. Occorre sottolineare che Gesù passa qui dall’immagine («Io sono la porta» / ἐγώ εἰμι ἡ θύρα) alla realtà («per mezzo di me» / δι’ ἐμοῦ). Bottino, analizzando la metafora della porta nel Vangelo di Giovanni, richiama l’attenzione sul fatto che in Gv 14,6 si trova solo un’altra volta l’espressione «per mezzo di me» che appartiene anche in questo secondo testo ai detti-Io («Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me»). «Dal confronto dei due versetti appare la stretta connessione fra le due metafore: porta e via: ambedue esprimono il concetto della mediazione di Cristo, ma non si può dire che abbiano un significato identico. La via esprime un cammino, la porta ingresso. […] Gesù si proclama la porta, ma non dice a che cosa dà accesso questa porta, in quanto è in Lui che si trovano i beni salvifici. Il testo di Gv 14,6 indica chiaramente dove conduce Gesù: al Padre»[9]. Potremmo riassumere l’analisi di questo importante passo del Vangelo di Giovanni, per il nostro tema, dicendo che «questa immagine della porta sottolinea la rivendicazione esclusiva del redentore Gesù»[10]. Gesù, diversamente dalla porta del Tempio, fa entrare non semplicemente solo in un luogo sacro ma nella comunione con lui. La sua persona glorificata è il nuovo tempio di Dio, è compimento del ruolo storico-salvifico del tempio dell’antica alleanza (cf. Gv 10,22-39).

Occorre aggiungere che Gesù non solo si autodefinisce come l’unica porta per accedere alla redenzione, ma anche stabilisce delle esigenze dell’ingresso nel regno di cui ha consegnato le chiavi a Pietro (Mt 16,19). L’ingresso nella salvezza presentata come una città o una sala di banchetti è una porta stretta (stenē),cioè la conversione (Mt 7,13s; Lc 13,24), la fede (At 14,27; Ef 3,12). Colui che non starà in guardia troverà la porta chiusa (Mt 25,10; Lc 13,25)[11]. In Lc 13,25 il Signore, dopo aver chiuso la porta, risponderà: «Non so di dove siete». Così pure in Mt 25,10 alle vergini stolte, che bussano alla porta chiusa: «Non vi conosco». Il senso è escatologico: rifiuto della partecipazione alla salvezza eterna.

Concludiamo le nostre riflessioni sulla metafora della porta nella rivelazione biblica con la sua dimensione ecclesiologica. Nel Libro della Apocalisse alla chiesa di Laodicea Cristo risorto rivolge un’esortazione particolare: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). L’immagine suggestiva di Gesù, che ha aperto all’umanità la porta della vita e della comunione con Dio ed è lui stesso la porta dell’ingresso – abbiamo detto l’unico mediatore – e che ora lui stesso sta alla porta chiusa con la sua proposta, con il dono della salvezza, e vi bussa. La Lettera alla comunità cristiana di Laodicea (Ap 3,14-22) è stata oggetto di ricerca specialmente sotto l’aspetto del messaggio morale che propone[12]. Il Cristo risorto parla in modo diretto a questa chiesa chiamandola alla conversione. L’oggetto della conoscenza sua sono «le opere» (Ap 3,15), cioè la situazione morale della comunità “tiepida”. Il termine, come afferma U. Vanni, descrive «insufficienza di amore della chiesa di Laodicea». Nel testo vengono specificati alcuni aspetti più concreti di questa insufficienza: la particolare povertà spirituale e morale di una chiesa che si vanta della sua prosperità economica; mancante della capacità di valutazione sapienziale delle cose, di lettura della storia, di “discernimento”. Il Cristo risorto «sta alla porta» e volendo superare l’ostacolo «bussa». Alla chiesa si fa sentire «la voce» di Cristo che tende ad essere ascoltata, ma non si impone con violenza. All’ascolto realizzato segue: apertura della porta, ingresso, banchetto. L’apertura della porta è presentata come una conseguenza dell’ascolto della voce, cioè la decisione personale di accoglienza nei riguardi di Cristo[13]. «Io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» tutto questo esprime con «una personalizzazione maggiorata», «l’intimità di un amore tra Cristo e il cristiano che tende ad essere un amore tra uguali». “Entrando” da lui […], Cristo assimila il cristiano a sé stesso, portandolo al suo livello». Questa immagine della cena richiama la «cena del Signore», la cena eucaristica che permette al cristiano di fare “entrare “in sé, di assimilare la vitalità di Cristo risorto»[14].

Bibliografia:

Bottino A., «La metafora della porta (Gv 10,7.9)», in Rivista biblica 39/2 (1991) 207-215. 

Bottino A., «Il simbolo della porta nella Scrittura», in Rivista liturgica 86/5-6 (1999) 603-621. 

Brière J., «Porta», in X. Leon-Dufour, Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, Genova 19905, 942-945

Castronovo F., «La porta. Simboli biblici», in https://www.paoline.it/blog/bibbia/la-porta.html

Miazek J., «Otwarcie drzwi świętych w roku jubileuszowym», in Warszawskie Studia Teologiczne XIII (2000) 7-16 [«Apertura della Porta Santa nell’Anno Giubilare»].

«Porte», in L. Monloubou – F.M. Du Buit, Dizionario biblico. Storico/critico, Borla, Roma 1987, 776.

«Porta», in L. Ryken – J.C. Wilhoit – T. Longnan (a cura di), Le immagini bibliche. Simboli, figure retoriche e temi letterari della Bibbia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2006, 1105-1107.

Vanni U., L’Apocalisse ermeneutica, esegesi, teologia, EDB, Bologna 1998.

Walczak M., «Biblijny motyw bramy. Jezus jako brama w J 10,7.9», in Polonia Sacra 24/1 (2020) 47-56 [«Metafora biblica della porta. Gesù come porta d’ingresso in Giovanni 10,7.9»]. 

Zumstein J., Il Vangelo secondo Giovani. Volume 1 (1,1-12,50), Claudiana, Torino 2017.

[1] Cf. M. Walczak, «Biblijny motyw bramy. Jezus jako brama w J 10,7.9», in Polonia Sacra 24/1 (2020) 47-56, qui 48-49 [«Metafora biblica della porta. Gesù come porta d’ingresso in Giovanni 10,7.9»].

[2] Cf. Ibid., 49-50. 

[3] Cf. «Porte», in L. Monloubou – F.M. Du Buit, Dizionario biblico. Storico/critico, Borla, Roma 1987, 776. 

[4] Cf. J. Brière, «Porta», in X. Leon-Dufour, Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, Genova 19905, 942-945, qui 944.

[5] Cf. F. Castronovo, «La porta. Simboli biblici», in https://www.paoline.it/blog/bibbia/la-porta.html [accesso: 23.12.2024]; «Porta», in L. Ryken – J.C. Wilhoit – T. Longnan (a cura di), Le immagini bibliche. Simboli, figure retoriche e temi letterari della Bibbia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2006, 1105-1107, qui 1107.

[6] Cf. A. Bottino, «Il simbolo della porta nella Scrittura», in Rivista liturgica 86/5-6 (1999) 603-621, qui 616.

[7] Cf. J. Zumstein, Il Vangelo secondo Giovani. Volume 1 (1,1-12,50), Claudiana, Torino 2017, 462. 

[8] A. Bottino, “La metafora della porta (Gv 10,7.9)”, in Rivista biblica 39/2 (1991) 207-215, qui 211. 

[9] A. Bottino, “La metafora della porta (Gv 10,7.9)”, 213. 

[10] B. Kratz, «θύρα», in H. Balz – G. Schneider (a cura di), Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2004, 1668-1670, qui 1670.

[11] Cf. J. Brière, «Porta», 944.

[12] U. Vanni, L’Apocalisse ermeneutica, esegesi, teologia, EDB, Bologna 1998, 237. 

[13] Cf. U. Vanni, L’Apocalisse ermeneutica, esegesi, teologia, 159. 

[14] U. Vanni, L’Apocalisse ermeneutica, esegesi, teologia, 160