10. RISTRUTTURAZIONE E FORMAZIONE

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Ristrutturazione e formazione

Serafino Fiore, C.Ss.R.

Introduzione

  1. La ristrutturazione è un processo col quale la Congregazione sottopone a revisione la sua missione nel mondo di oggi. Sono stati gli ultimi Capitoli Generali – a partire dal 1979 – a sollevare questo problema, infine quello del  2009 ha preso le decisioni più concrete al riguardo. [1]
  2. Adattare le nostre strutture e istituzioni alle esigenze del ministero apostolico” (Cost. 96) dovrebbe essere per noi Redentoristi un lavoro sempre in corso. “Cercare vie nuove per portare il vangelo ad ogni creatura, senza farci vincolare da quelle forme e strutture che renderebbero non più missionaria la nostra attività” (Cost. 15) dovrebbe essere uno sforzo costante e ordinario.
  3. Nella realtà, accade il contrario: giustifichiamo un impegno apostolico per non mettere in discussione le nostre strutture. Continuiamo a stare in un luogo semplicemente per una ragione affettiva, o storica, o per semplice inerzia: anche se in quel luogo non siamo più missionari come ci vorrebbero le nostre Costituzioni. Cambiare ci costa. E a pagarne le conseguenze è l’efficacia della nostra missione.
  4. Prima di procedere, vale la pena spiegare cosa intendiamo per “strutture”. Questa è una parola usata più volte in Costituzioni e Statuti (oltre le già citate Cost. 15 e 96, vd anche Cost. 92; il titolo della sezione I del capitolo V delle Costituzioni; lo St.Gen. 030 e anche qui il titolo della sezione I del capitolo V degli Statuti). Alla luce di queste citazioni possiamo ritenere per “struttura” tutto ciò che sorregge la nostra missione, permettendole di sussistere e di organizzarsi. In pratica e più in particolare intendiamo le nostre Unità (Provincie e vice-Provincie, Regioni e Missioni); il modo in cui esse sono in relazione tra di loro; l’amministrazione economica delle Unità e del Governo Generale; il Governo della comunità apostolica, ecc.
  5. Per rivedere la nostra missione sotto questi due aspetti, un grande ruolo è stato assegnato dal Capitolo Generale  alle Conferenze: strutture intermedie tra Governo Generale e Unità, esse sono un aiuto per aiutare i Redentoristi  di un determinato continente a rivedere la propria azione apostolica, e a continuare in un processo di rinnovamento interiore, a livello personale e comunitario.
  6. In effetti la ristrutturazione ha due aspetti, fondamentalmente:

7. Il primo è concreto e visibile, comportando precise decisioni. C’è da mettere in discussione le nostre “strutture” e il modo in cui esse funzionano: ad esempio l’esistenza di una casa, il numero di Unità in uno stesso Paese, la gestione dell’economia a livello locale, (V)Provinciale e universale ecc… Soprattutto è in questione il modo in cui ci pensiamo e definiamo: siamo un insieme di Unità, più o meno autonome,  o piuttosto “un sol corpo missionario” (Cost. 2), capace di mettere efficacemente “la vita dei congregati in comunione con le altre parti dell’Istituto” (Cost. 93)?  Nel primo caso si affermerebbe il principio di decentralizzazione, che finora ha dominato nella vita della Congregazione. Nel secondo caso assisteremmo ad un movimento di maggiore comunione.

8. Il secondo aspetto è altrettanto concreto, ma meno visibile. “Vediamo la ristrutturazione come un processo, una dinamica di trasformazione personale e comunitaria, che esamina la realtà attuale, valuta le strutture che abbiamo, e si dispone a cambiarle se necessario perché siamo fedeli al carisma, al servizio della missione” (Communicanda 1[2004], 31). Qui non si tratta di decidere, ma di un cammino da avviare, animare, accompagnare. Senza di esso, la ristrutturazione “visibile” non approderà da nessuna parte, o creerà più problemi di quelli che vuole risolvere. Fondamentale è che la ristrutturazione susciti “una nuova disponibilità per la missione” (XXIV Capitolo Generale CSSR, Decisioni riguardanti la ristrutturazione, Principio n.2).

9. Di una cosa bisogna essere consapevoli: è più facile chiudere una casa, fondere due Unità in una, che non portare avanti, in modo costante e graduale, questa “dinamica di trasformazione”. Si tratta di “rinnovare il nostro modo di pensare” (Rom 12,2). Siamo chiamati a porci in uno stato di salutare inquietudine. Nuovi schemi, nuove abitudini, una nuova mentalità è richiesta: la formazione permanente può fare molto al riguardo. Ma la formazione iniziale rimane l’investimento prioritario, perché le nuove generazioni dei Redentoristi assicurino “vino nuovo in otri nuovi” (Mc 2,22) per la missione della Congregazione.

10. Come impegno immediato, il XXIV Capitolo Generale ci ha chiesto di riesaminare le nostre priorità pastorali. E poi, di fare un passo in più, che riguarda concretamente le attività con cui eseguiamo quelle priorità: “delineare i nostri lavori apostolici che più si avvicinano alle nostre priorità comporterà un continuo discernimento, decisione e valutazione” (XXIV Capitolo Generale CSSR, Decisioni riguardanti la ristrutturazione, 1.2).

11. Quello della ristrutturazione, è un processo tuttora in corso: e secondo le nostre Costituzioni e Statuti dovrebbe esserlo sempre. Ma perché esso abbia un vero impatto sulla nostra formazione, è bene sapere in che misura questa  è chiamata in causa dalla ristrutturazione; è bene avere chiaro davanti agli occhi gli obiettivi e i motivi per i quali agire. E alcune piste concrete a diversi livelli.

Come e perché la ristrutturazione influisce sulla formazione

12. La conversione missionaria è una sfida per ogni Redentorista, indipendente-mente dall’età. Questa sfida dovrà esplicitarsi nelle direttive e nella pratica della formazione iniziale e continua (XXIV Capitolo Generale, Decisioni, 1.5)

13. Se “la conversione missionaria è una sfida per ogni Redentorista, indipendente-mente dall’età”, non di menoper un candidato in formazione iniziale essa deve tradursi in una posizione fondamentale nei confronti della vita, che si esprime nella capacità di imparare dalle esperienze vissute, nel confrontare sistematicamente i propri criteri di giudizio con quelli del vangelo, nell’assenza di rigidità, nell’apprendere a mettere l’altro davanti al proprio io, nella capacità di ascolto, nell’apprezzare la vita come dono, ecc.

14. Se ciò è vero per la formazione in generale, un certo realismo è esigito al momento in cui si pone questa formazione in rapporto con il lavoro di ristrutturazione. Occorre prima di tutto rendersi conto di una cosa: in chiave di formazione, il tema “ristrutturazione” è relativamente nuovo per la Congregazione. I documenti finora in uso – incluse Ratio e altri documenti pensati per i formatori – non ci offrono molte indicazioni al riguardo. Le stesse Costituzioni e Statuti del 1982, pur dando per scontato il continuo adattamento delle nostre strutture, non ne tirano le conseguenze a livello formativo. Anche se il capitolo IV delle nostre Costituzioni parla di formazione in prospettiva “Congregazione”, nella pratica si è affermato il principio della decentralizzazione: ogni Unità con le sue strutture formative. E quindi con i suoi criteri,  i suoi programmi, al servizio della sua missione. Pensare in una prospettiva più ampia è dunque una sfida: non solo per i candidati, ma per gli stessi formatori, che al riguardo non dispongono di molte indicazioni.

15. La sopra menzionata “dinamica di trasformazione personale e comunitaria” chiama in causa dunque la formazione iniziale, anzi: soprattutto la formazione iniziale.

16. È specifica della formazione iniziale, infatti, la dimensione di “sogno”, di visione. È negli anni di pre-noviziato, noviziato, studentato che si trasmette la passione per la crescita personale nei suoi diversi aspetti: umana, spirituale, comunitaria, culturale, pastorale. Ma questa crescita non è fine a se stessa, essa è motivata dall’obiettivo a cui la formazione guarda: se si vuole un Redentorista per la propria unità, o un Redentorista per il mondo. Tutto il resto ne verrà di riflesso.

17. Da tutto ciò, deriva una conseguenza molto importante: sin dalla fase di Pastorale Vocazionale, il possibile candidato sappia che la vocazione redentorista richiede disponibilità ad essere inviato dovunque, in ognuno dei paesi e dei continenti nei quali opera la Congregazione. Almeno questa disponibilità di base va esigita.

18. Per le tappe successive, è essenziale avere chiari davanti a sé un obiettivo formativo, e strutture adeguate.

Obiettivo formativo

19. Un mondo globalizzato, e la missione che in questo mondo i Redentoristi  sono chiamati a realizzare, esigono nuove risposte, e soprattutto nuovi atteggiamenti di vita.

20. Questi atteggiamenti sono radicati in una ecclesiologia di comunione, quale ci è stata consegnata dal Concilio Vaticano II. In essa il principio koinonia ha preso il posto che prima era assegnato ad una Chiesa “società perfetta”, dove il primato era assegnato alla funzionalità, esemplarità ed efficienza, mentre nel principio koinonia sono l’amore e la interrelazione a essere messi in primo piano. Inoltre, il principio koinonia ispira il modo in cui la Chiesa si rapporta al mondo: non in concorrenza, ma al suo servizio, nell’interesse comune dell’uomo e della donna, soprattutto i più indifesi.

21. Il Redentorista è stato da sempre aperto al mondo: lo testimoniano le tante partenze missionarie, che nel passato si sono svolte soprattutto partendo dal Nord verso il Sud del mondo, e da Est verso Ovest. Le numerevoli figure di missionari coraggiosi e santi sono lì a testimoniarlo: eccellono in particolare San Giovanni Neumann, il Beato Francesco Saverio Seelos, il Beato Pietro Donders, ecc.22. Rispetto al passato, alcuni parametri sono cambiati:

23. Se fino al Concilio Vaticano II prevaleva la preoccupazione del “pagano da evangelizzare”, oggi diventa sempre più centrale la promozione integrale dell’uomo da promuovere, a partire dalla sua dimensione spirituale ma non limitandosi ad essa.

24. Se nel passato era forte il desiderio di procurare nuove fondazioni alla propria famiglia religiosa, oggi assume un ruolo di primo piano la preoccupazione di “cercare ed accompagnare i più abbandonati, specialmente i poveri” (XXIV Capitolo Generale, Principio 3), con uno sguardo globale sul mondo.

25. Se prima l’urgenza missionaria era riscontrata nelle zone più povere del pianeta, oggi essa viene rilevata dovunque: dal mondo secolarizzato dove si assiste alla “desertificazione della fede”, al continente Africa, definita una priorità per la Congregazione (XXIV Capitolo Generale, Decisioni, 8).

26. Se nel passato la Congregazione riusciva a  garantire una certa continuità in alcuni servizi centrali della nostra famiglia religiosa o al servizio della Chiesa universale (Accademia Alfonsiana, Istituto Storico, Archivio Generale, Ufficio comunicazioni, Centro spiritualità  ecc.), oggi sono necessarie e urgenti nuove scelte che assicurino una preparazione specifica per lavorare in questi campi. 

27. Nel frattempo, bisogna dire che anche i parametri della formazione, fuori e dentro la Congregazione, sono cambiati. Se prima, in gran parte dei nostri studentati, la formazione accademica trasmetteva anche temi e contenuti propri della storia e spiritualità Redentorista, oggi questo accade solo in pochi casi. Se nel passato era la “struttura” a prevalere, oggi andiamo comprendendo che la struttura è al servizio della persona. Se prima il modello “osservanza” attestava il buono o cattivo funzionamento di un gruppo in formazione, oggi scopriamo l’attenzione al cammino personale, spirituale ed effettivo del singolo dentro il gruppo. Gli esempi potrebbero continuare, ma ci preme tornare al nostro tema.

28. In un futuro che è ormai presente, il candidato Redentorista è chiamato ad avere i piedi ben piantati per terra, ma con gli occhi che guardano al mondo. In altre parole, deve conoscere e apprezzare la propria cultura, sapendo che essa è un dono prezioso per l’umanità. Ma deve guardare con simpatia e favore alle altre culture. Deve comprendere e maturare l’essenza del carisma Redentorista, sapendo che esso non ha dispiegato ancora tutto il suo potenziale: cosa che avviene proprio in confronto con i diversi contesti culturali.

29. Questo atteggiamento positivo non deve essere però senza riserve. Apprezzare ed abbracciare le altre culture richiede allo stesso tempo la capacità di “riconoscerne i limiti e dare testimonianze contro culturali là dove occorre (XXIV Capitolo Generale, Decisioni, 1.4)”. Sin dalla formazione iniziale, è doveroso esigere da ogni candidato, in proporzione all’età e alla fase formativa che sta vivendo, un senso critico, una capacità di pensare con la testa propria e di non assuefarsi ad un atteggiamento passivo e facile all’omologazione. In questa prospettiva, un grande aiuto va trovato nelle discipline umanistiche e filosofiche del curriculum accademico: in particolare, la formazione razionale della persona, che la filosofia permette, è una risorsa importante per imparare a stare in guardia contro la manipolazione, e per prendere coscienza delle idee che condizionano il modo di pensare di intere generazioni.

30. Sin dalla formazione iniziale, dovrebbe essere anche normale individuare il modo in cui il candidato dimostra apertura o chiusura mentale verso l’altro, se è capace di relazionarsi all’altro vedendo nella sua diversità non un ostacolo ma una ricchezza, in vista di una Chiesa e di un mondo sempre più chiamato a “comunione”, e di una Congregazione chiamata a svolgere la sua missione in termini di comunione. Ovviamente, verificare questo può apparire ancora più facile se il gruppo in formazione è internazionale, o interprovinciale, o multiculturale. Laddove il confronto e dialogo con altre culture e religioni è parte dell’habitat quotidiano (pensiamo in modo particolare ma non esclusivo a Africa e Asia), questo richiede qualità umane e sensibilità che spetta ai formatori seguire con particolare attenzione, dandogli quella concretezza che solo in loco può essere definita.

Strutture adeguate

31. La ristrutturazione della Congregazione in vista della missione “parla” anche attraverso il cambio di strutture formative. Un cambio che non è fine a se stesso, ma al servizio delle persone in formazione e in vista dell’obiettivo formativo appena descritto.

32. Nella formazione, a maggior ragione vale il principio sancito per altri ambiti della nostra vita: vale a dire che “nessuna Unità dovrà agire isolatamente” (XXIV Capitolo Generale, Decisioni 1.12) e che “la solidarietà nella missione include l’abilità di ottimizzare le risorse” (XXIV Capitolo Generale, Principio 4), intendendo per risorse prima di tutto quelle umane  (XXIV Capitolo Generale, Decisioni 1.8). Pertanto, l’orizzonte normale della formazione iniziale deve essere quello della Conferenza, e questo va inteso in termini di Ratio, come anche di strutture e di prassi.

33. Il primo criterio da avere a cuore è quindi assicurare la migliore qualità possibile in ambito formativo. Pur evitando ogni forma di paternalismo, bisogna garantire che nessuno degli aspetti fondamentali della formazione sia sacrificato: pensiamo alla competenza e preparazione dei formatori, una certa continuità nei formatori, le condizioni per il discernimento, la direzione spirituale, l’integrazione in chiave Redentorista della formazione accademica esterna, le esperienze pastorali ecc. Negli stessi programmi formativi la continuità deve essere garantita, perché essi siano sostenuti dalla stessa logica e spiritualità, e permettendo la gradualità del cammino ai candidati. La superficialità e l’approssimazione vanno assolutamente evitate, nel curare questi aspetti. A questo scopo, anche le strutture devono adeguarsi e i responsabili devono agire in collaborazione.

34. Una speciale attenzione va dedicata a quelle Unità che sperimentano una certa debolezza riguardo alle risorse umane (XXIV Capitolo Generale, Decisioni 1.11), a condizione che esse siano coinvolte in un programma formativo come corresponsabili, alla pari di Unità più “forti”. Questo è un criterio che deve valere per ogni programma formativo interprovinciale o internazionale: non ci sono Unità responsabili in prima linea (in genere quelle “ospitanti”) e altre che si adeguano ai loro programmi. Tutte sono parimenti responsabili, e tutte sono chiamate a partecipare, ognuna secondo le proprie possibilità. Inoltre, bisogna assicurare la partecipazione o presenza (almeno periodica) dei responsabili di altre Unità al programma formativo in comune.

35. Ai criteri di qualità sopra accennati, bisogna aggiungere uno che merita una speciale attenzione: vale a dire che ci sia una vera comunità formativa. In essa, la formazione non è affidata unicamente a dei responsabili formatori, ma è frutto di un lavoro d’equipe, dove tutti collaborano – ognuno col suo specifico ruolo – per offrire ai giovani in formazione non solo una vera esperienza di comunità, ma anche le premesse per un discernimento meno soggettivo di quello che può avere un singolo formatore. Ecco dunque la figura del Superiore, del collaboratore o socio, del direttore spirituale, del confessore, del prefetto di studi, di chi integra in chiave Redentorista lo studio accademico, l’accompagnatore pastorale ecc.

36. A questo scopo, pur considerando i diversi elementi in gioco (economico, linguistico, distanze geografiche ecc.), si deve fare tutto il possibile per avere comunità formative internazionali. Dove non è possibile pensare a strutture uniche a livello Regionale, vanno promosse quelle a livello sub Regionale o tra Unità vicine.

37. Il rapporto tra formazione e ristrutturazione si esprime anche curando programmi comuni, d’accordo tra i formatori e i Superiori di diverse Unità: condividere programmi formativi, oppure preparare insieme il tempo che precede i voti perpetui, o pensare ad un corso per confratelli in periodo di transizione (dalla comunità formativa a quella “pastorale) sono alcune delle soluzioni possibili.

ALCUNI ASPETTI PRATICI

38. La formazione nella Congregazione ha già i suoi punti di riferimento nelle Costituzioni e Statuti, nelle Ratio generali e particolari, come anche nel primo manuale dei Formatori e in altre risorse. Il processo di ristrutturazione, pur tuttavia, esige particolari attenzioni, sia a livello di scelte operative concrete, che di atteggiamenti.

Gli atteggiamenti

39. Una consapevolezza di fondo deve accompagnare ogni candidato: “soprattutto, egli saprà di appartenere e di partecipare volentieri alla missione di una Congregazione mondiale che accoglie seriamente la sfida di essere attenta ai segni dei tempi e prende decisioni apostoliche e vitali che rispondano in modo nuovo alla nostra vocazione alla missione” (XXIV Capitolo Generale, Decisioni 6,17).

40. E ancora: “egli avrà bisogno di avere una più larga visione delle circostanze del cambiamento, delle realtà umane e delle priorità apostoliche non solo della sua Unità ma della Conferenza intera alla quale egli, con la sua Unità, appartiene” (XXIV Capitolo Generale, Decisioni 6,17).

41. Il provincialismo, inteso nel senso letterale del “pensare alla propria Provincia”, ma anche come chiusura mentale ad ogni innovazione o incapacità di guardare al di là dei propri confini, deve essere oggetto di particolare discernimento: il candidato che dimostri al riguardo una certa rigidità, o resistenza al cammino proposto, andrebbe orientato verso un altro tipo di vocazione nella Chiesa.

42. Inoltre, bisogna vigilare affinché nella vita del candidato e del gruppo siano combattute fin dal loro sorgere eventuali forme di classismo o  razzismo, esplicito o manifesto: che sia nei confronti di membri di altre Unità o Paesi, o che si esprima in categorie come superiore/inferiore all’interno del gruppo.

Scelte operative concrete

43. La nuova mentalità esigita dalla ristrutturazione può contare su molte soluzioni formative, da tenere presenti lungo le varie tappe. In modo particolare ci sembra opportuno segnalare:

44. Conoscere la storia della propria Unità e di quelle vicine, a livello di Conferenza, oltre quella della Congregazione. Una tale conoscenza, se proposta con opportuna  metodologia, può fare risaltare come il rinnovamento continuo e la ristrutturazione hanno accompagnato da sempre la nostra missione, anzi sono stati un fattore decisivo per la sua vitalità (XXIV Capitolo Generale, Decisioni 6.15).

45. Una simile conoscenza va inquadrata nel contesto di una storia più ampia del mondo, delle linee generali che l’hanno segnata, e della situazione attuale.

46. Una particolare attenzione merita il fenomeno dei migranti all’interno della regione geografica che corrisponde alla Conferenza. Come anche il ministero svolto nei Santuari Redentoristi all’interno della stessa Conferenza, e il relativo fenomeno della religiosità popolare (XXIV Capitolo Generale, Decisioni 6,16).

47. Programmare l’anno pastorale (o stage) durante il teologato avendo presenti le possibilità offerte dalla propria Conferenza o da altre Conferenze.

48. Prevedere incontri internazionali o inter Unità per favorire una conoscenza, la condivisione di esperienze e cammini formativi ecc. Anche esperienze pastorali – ad es. la partecipazione ad una missione popolare – col coinvolgimento di più Unità possono rivelarsi una risorsa efficace.

49. Favorire una conoscenza delle istituzioni centrali della Congregazione, accademiche e non  (Accademia Alfonsiana, Istituto Storico, Archivio Generale, Ufficio comunicazioni, Centro spiritualità ecc.) perché candidati eventualmente disponibili a lavorare in esse si preparino a tempo, usufruendo anche di specifica specializzazione. Per fare questo, ci si può servire di schede opportunamente preparate e richieste, delle stesse risorse web, o – quando possibile – delle presenza del Consiglio Generale in visita alle Unità.

50. L’apprendimento delle lingue è un segno ulteriore e concreto di disponibilità missionaria, in prospettiva di ristrutturazione. Fino a che non ci siano nuove direttive, rimangono in vigore quelle stabilite dal Superiore Generale con lettera alla Congregazione del 10.09.2005 (prot. N° 0000 268/2005, in Analecta 2004-2005, Roma 2006, p. 62), cioè

  • che tutte le Unità devono procurare un corso in inglese o spagnolo a tutti i candidati, della durata di almeno tre anni.
  • che i candidati la cui madre lingua è inglese o spagnolo studino l’altra lingua.
  • i candidati anglofoni in Africa studino francese invece di spagnolo.
  • per quanto possibile, è incoraggiato l’apprendimento dell’italiano.

51. Altre soluzioni possono favorire questa apertura al mondo, ad esempio condividere le notizie riguardanti la Congregazione che appaiono su Scala, o le Communicanda o altri documenti emanati dal Governo Generale ecc.

 DOMANDE PER EVENTUALE LAVORO IN SEMINARI (“workshop”)

  1. Come la tua (V)Provincia vive la ristrutturazione: prevale la preoccupazione amministrativa? In che misura si afferma la “conversione missionaria” esigita dal Capitolo Generale ? Quali resistenze avverti?
  2. Come giudichi la collaborazione con le Unità vicine  o con la (Sub) Conferenza in una visione di ristrutturazione ?
  3. Quali scelte operative concrete sono da promuovere per una formazione iniziale in ottica di ristrutturazione ?
  4. Quali iniziative concrete sono da promuovere per obiettivi specifici, come: preparazione comune ai voti perpetui, formazione continua, accompagnamento dei confratelli in periodo di transizione alla comunità pastorale ecc.?
  5. Quali mezzi usare (notiziari, circolari, internet ecc.) per promuovere dentro la Conferenza una formazione alla luce della ristrutturazione ?

[1] Nell’edizione di questo documento è stata inserita la numerazione dei paragrafi per facilitare i riferimenti al testo e la sua citazione nei seminari e lavori di grupo (Nota di Edizione).