SPIRITUALITÀ La nostra sfida più importante

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Communicanda I – 1997-2003


COMMUNICANDA
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Nr. Prot. 0000 0028/98
Roma, 25 febbraio 1998

Carissimi Confratelli,

01. “Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo” (1 Tess 1,2-3). A cinque mesi dalla conclusione del XXII Capitolo Generale, e in questo giorno anniversario dell’approvazione delle nostre Costituzioni, vi facciamo pervenire questo documento, che vuole dare un seguito alla celebrazione del Capitolo e nello stesso tempo indicare alcune prospettive del nostro servizio alla Congregazione.

02. Il Capitolo ha affidato al Governo Generale la redazione di questa Communicanda, per l’approfondimento del Messaggio e degli Orientamenti già inviati a tutta la Congregazione (Postulati del XXII Capitolo Generale, 1.1.4). Già sapete che al centro di questi documenti capitolari c’è stata la spiritualità, assunta come tema per il sessennio in corso, alla luce del quale la Congregazione vuole comprendere e vivere tutti gli aspetti della sua stessa vita. L’esigenza di trattare questo tema era però ricorrente già in alcune Riunioni Regionali preparatorie al Capitolo, a conferma di un bisogno diffuso in gran parte della nostra Famiglia missionaria.

03. Riteniamo tuttavia che la scelta della spiritualità tenga conto di tutto il cammino percorso negli ultimi decenni, segnato dai Capitoli generali, dai rispettivi documenti finali e in particolare dall’impegno di “accentuare l’annuncio esplicito, profetico e liberatore del Vangelo ai poveri lasciandoci interpellare da essi” (XXI Capitolo Generale, Documento finale, 11). Inserita in questo contesto, l’opzione per la spiritualità si rivela in tutta la sua profondità e urgenza.

04. Questa Communicanda non intende affrontare il tema della spiritualità in modo esaustivo o scolastico. Vogliamo avviare una riflessione sul tema stabilito dal Capitolo Generale, offrendo a ciascuno di voi un aiuto per essere Redentorista oggi. Da una parte siamo convinti che la spiritualità è essenzialmente “esperienza personale e comunitaria di Dio in Cristo Redentore per opera dello Spirito Santo”, dall’altra dobbiamo tenere presenti i bisogni delle varie Regioni. Ci auguriamo inoltre che ogni Unità faccia di questo documento un uso “condiviso”, nella misura e nel modo che saranno possibili.

05. Avvertiamo molto forte – e lo stesso Capitolo Generale lo ha paventato – il rischio che il tema della spiritualità ci porti lontano dal terreno proprio e dalle urgenze scomode della missione. Diciamo subito che “spiritualità” non vuol dire intimismo, né fuga dalle responsabilità personali o dal necessario coinvolgimento nella nostra storia. Non vogliamo teorizzare sulla spiritualità, ma tenere molto concretamente davanti agli occhi gli impegni normali come anche le urgenze che invocano il nostro impegno efficace. E oltre che sui nostri buoni propositi, contiamo sulla collaborazione con i laici, che negli ultimi tempi si è andata sempre più affermando nei progetti delle diverse Unità. Se da una parte essi possono “assimilare” la nostra spiritualità vivendo con noi, frequentando i nostri ambienti e lavorando con noi, dall’altra possono aiutarci a rimanere in più stretto contatto con la realtà e con la dimensione quotidiana della vita.

06. Un altro rischio desideriamo scongiurare: ed è quello che ci induce ad affrontare il tema della spiritualità semplicemente perché lo vuole una cultura alquanto diffusa oggi. Sappiamo in che misura la spiritualità rappresenta un argomento alla moda e persino un fenomeno di successo commerciale. Un vero e proprio “supermarket della spiritualità”, che spazia dal new age alle sette esoteriche, seduce molti dei nostri contemporanei; ma sappiamo anche che questo fenomeno ha poco in comune con le esigenze proprie di una fede rivelata, che parte sempre da un “ascolto” obbediente alla Parola e tende all’incontro responsabile con una persona, Gesù Cristo.

07. La spiritualità è motivo di unità per tutta la Congregazione. Pur tuttavia, non possiamo dimenticare la grande diversità di situazioni e di attese: questo va detto sia a proposito di Regioni e di culture, come anche di persone. Tra i confratelli alcuni sono fortunatamente in possesso di una spiritualità più consolidata, altri avvertono una sorta di “frantumazione” interiore, altri infine si considerano alla ricerca di qualcosa che non hanno ancora trovato. Sono situazioni interiori che vanno al di là dell’età anagrafica e in cui si intrecciano misteriosamente la grazia di Dio e le circostanze della vita, ma proprio considerando questa diversità di situazioni ogni Unità sappia fare gli opportuni adattamenti di queste nostre riflessioni.

I motivi di una scelta

08. Innanzitutto riteniamo fondamentale interrogarci: perché il Capitolo Generale ha scelto la spiritualità come la sfida più importante per tutta la Congregazione in questi sei anni? Dare una risposta a questa domanda ci permette di entrare adeguatamente nelle esigenze proprie di questo tema. Ecco alcune ragioni che ci sembrano più vicine alla realtà, ma ci auguriamo che il nostro tentativo sia anche verificato e proseguito a livello locale.

09. La prima nostra impressione è che la Congregazione ha verificato un attivismo eccessivo, o almeno una riflessione non proporzionata alle numerose attività svolte. In altre parole, abbiamo tutti bisogno di ritrovare i motivi veri e profondi del nostro agire, e sappiamo che per noi Redentoristi i motivi riconducono essenzialmente ad una persona, “l’unica di cui c’è bisogno”(Lc 10,42), Gesù Cristo Redentore. Questo bisogno è confermato chiaramente dallo stesso Capitolo Generale, quando dice che la nostra “principale preoccupazione deve essere il posto che Dio occupa nelle nostre esistenze” (Messaggio finale, n.3). Ecco dunque un’indicazione da cui non possiamo prescindere e che diventa fonte di gioia per ciascuno di noi: nella misura in cui cerchiamo di assegnare a Dio il centro nella nostra vita, ci realizziamo in pienezza.

10. Ma riteniamo opportuno avanzare un’altra ipotesi, che spieghi la scelta del Capitolo, legata chiaramente alla fase storica che ci troviamo a vivere. Molti di noi conservano il ricordo di una formazione – alludiamo agli anni precedenti al Concilio Ecumenico Vaticano II – in gran parte ispirata alle norme e ai valori propri dell’osservanza. Gli anni successivi hanno visto affermarsi una diversa antropologia e una conseguente formazione, al centro delle quali dominava la realizzazione della persona e la sua libertà. Il bilancio di questi ultimi anni ci ha fatto capire che questi modelli non si escludono a vicenda. Ma se, a giudizio di alcuni, il primo modello ha talvolta favorito una “osservanza senza cuore”, a giudizio di altri il secondo modello ha in qualche caso creato una “libertà senza scopi”. Spesso il dialogo all’interno delle comunità ha segnato il passo, i progetti apostolici si sono rivelati di corto respiro, l’identità delle persone è andata in crisi. Riteniamo che il Capitolo Generale abbia visto nella spiritualità l’elemento capace di dare un senso alla libertà nella comunità, delineando un possibile e più credibile cammino per il prossimo futuro.

11. La nostra “urgenza” di spiritualità può avere ancora un’altra spiegazione. Viviamo in un tempo di “innovazione continua” e di progresso tecnologico accelerato (anche se questo sviluppo non è uguale in tutte le Regioni). Facciamo fatica a stare al passo del nostro tempo. Novità non solo tecnologiche o scientifiche ma più profondamente culturali mettono a dura prova i nostri orizzonti mentali. Se nel passato la nostra Regola di vita, le nostre tradizioni, i “modelli” nel nostro quotidiano o i Santi sui nostri altari costituivano per noi dei punti di riferimento alquanto collaudati e credibili, oggi sperimentiamo di trovarci sulla soglia di un futuro che non sappiamo cosa ci riserverà. Avvertiamo la fatica di parlare di sequela Christi ad un mondo che sembra non abbia nessuno da seguire. Per questo abbiamo bisogno di una salutare “zavorra” che ci impedisca di vivere perennemente in superficie. Sentiamo il bisogno di qualcosa che ci aiuti a fare sintesi dentro di noi indipendentemente da fattori esterni sempre in movimento: e questo “qualcosa” il Capitolo lo ha intravisto nella spiritualità.

12. In ogni caso questa fatica di stare al passo dei tempi la verifichiamo nei confronti della teologia. Ad esempio, quale ampliamento d’orizzonte ha conosciuto negli ultimi tempi il concetto di redenzione? Se molti di noi sono stati formati ad una decisa attenzione verso la “salvezza dell’anima”, gradualmente abbiamo visto questo concetto estendersi ad una salvaguardia integrale della persona (cfr. Cost. 5), e abbiamo compreso che la Copiosa Redemptio ci mette in un rapporto nuovo con altre culture e religioni, né può escludere dai suoi interessi certi problemi come l’ecologia, la difesa dei diritti umani, ecc. Sul piano puramente teorico non è difficile capire questo rapporto, ma nella pratica quanti hanno accusato un calo di “zelo missionario”, proprio per la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un impegno nuovo e comunque spropositato alle proprie forze?

13. Sono stati messi a nostra disposizione numerosi strumenti di studio e di formazione e si sono moltiplicate iniziative di formazione permanente, sia in occasioni straordinarie (centenari dei nostri Santi, beatificazioni, ecc.) che nel cammino “feriale” delle varie Unità. Pur tuttavia dobbiamo ammettere che non sempre il rinnovamento profondo della nostra vita è stato pari all’impegno profuso per organizzare queste iniziative. Anche noi accusiamo sulla nostra pelle e ancor di più nel nostro intimo quella frattura tra la fede e la vita che rimane uno dei segni sconcertanti del nostro tempo. Proprio perché si moltiplicano le occasioni di conoscenza e di animazione, avvertiamo più lacerante la difficoltà a incarnare nel vissuto quotidiano tutto ciò che andiamo scoprendo.

14. Questa frattura interiore ed esistenziale si riflette indubbiamente anche sul nostro modo di pregare. Già il Capitolo Generale del 1991 ricordava: “sono state abbandonate le ‘pratiche spirituali’ considerate poco autentiche o non adatte alla situazione attuale, ma senza sostituirle con altre che potessero colmare del tutto il vuoto che si è prodotto” (Documento finale, 33). Il risultato è l’abituale assenza di un programma di preghiera in queste comunità, e più in generale un certo “vuoto” spirituale nel quale molti confratelli fanno fatica a ritrovarsi. C’è da chiedersi se guardando a certi nostri ambienti – spiritualmente “anemici” – sia legittimo parlare di comunità religiosa. C’è da domandarsi se è giusto, alla luce della “consacrazione”, rassegnarsi passivamente ad un contesto secolarizzato. C’è da chiedersi se un simile modo di progettare (o non progettare) la comunità può avere un minimo di attrattiva sulle giovani generazioni. E’ un punto, questo, su cui ognuno dovrebbe ricercare la propria parte di responsabilità.

15. Il “vuoto” spirituale spesso ha dato il motivo a dei confratelli per una “fuga” verso altre spiritualità o movimenti ecclesiali, magari per cercare fuori ciò che non trovavano dentro la comunità. Siamo convinti che non si può negare a nessuno il diritto del proprio sviluppo personale e spirituale. Ma là dove questo fenomeno continua a verificarsi, esso suggerisce domande molto precise: la comunità è capace di creare l’ambiente idoneo alla realizzazione piena dei confratelli? Offre alle persone lo spazio “umano” perché essi esprimano i loro desideri più profondi? Cerca di dare risposta a questi desideri in un contesto di “comunità bene ordinata” (Cost. 44-45; St. 041) e con un adeguato progetto di preghiera?

16. Non può lasciarci indifferenti neanche il numero di confratelli che lasciano la Congregazione dopo qualche anno di consacrazione o di ministero: il fatto stesso che una parte di essi dimostra insoddisfazione dopo l’abbandono, ci fa chiedere se li abbiamo aiutati a realizzarsi umanamente e spiritualmente. Anche se fenomeni del genere si sono verificati pure in epoche precedenti alle nostre e trovano riscontro attualmente anche in altre famiglie religiose, non possiamo esimerci da porci alcune domande: cosa cercavano questi confratelli nella comunità Redentorista e non hanno trovato? Ci riteniamo fraternamente responsabili gli uni della vocazione dell’altro? Questi interrogativi naturalmente devono farci pensare non solo ai confratelli che lasciano, ma anche a quelli che, pur rimanendo in Congregazione, si adeguano loro malgrado e in un modo impercettibile ad uno stile di vita senza slanci, che chiama in causa i motivi più profondi del nostro vivere insieme.

17. Ad un livello ancora più generale, dobbiamo ammettere che nella nostra vita quotidiana, nei rapporti interpersonali, nella cura pastorale non sempre riusciamo a motivare le cause vere della nostra consacrazione e del nostro ministero, e “a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi” (1Pt 3,15). Abbiamo imparato a condividere le nostre esperienze spirituali tra di noi? Cosa mancherebbe al mondo di oggi se improvvisamente venisse a mancare il carisma Redentorista? Cosa ha da dire l’intuizione di Alfonso a questa nostra cultura? Riusciamo a comunicare la vera attualità della spiritualità Redentorista e a proporla a dei laici perché la condividano, e a dei giovani perché ne facciano un’ipotesi di vita? In che modo cerchiamo di proporci come “scuola di vera spiritualità evangelica” (Vita consecrata, 93)?

18. Queste domande invocano non solo un serio impegno culturale, ma anche il recupero di un’identità personale e di un autentico contesto di famiglia. In questo senso forse troviamo un fedele “termometro” del problema-spiritualità nella gioia che avvertiamo abitualmente presente o assente a livello di persone e di comunità. Dovremmo ritrovare tutti un senso di appartenenza ed un sano orgoglio di essere Redentorista. Forse è questa la ragione che riassume tutte le altre, e che ha indotto il Capitolo Generale a propendere per la spiritualità.

Elementi di spiritualità redentorista

19. Chi ha partecipato al XXII Capitolo Generale o lo ha seguito attraverso i mezzi di comunicazione, e chi in ogni caso – ad esempio con la lettura del Messaggio finale, degli Orientamenti e dei Postulati – accosta ciò che il Capitolo ha voluto prima maturare e poi esprimere a tutta la Congregazione, forse potrà condividere con noi questa impressione: in gran parte dei casi l’attenzione del Capitolo si è fermata con più frequenza sulla “spiritualità” che sulla “spiritualità Redentorista”. Non vogliamo minimamente suggerire l’idea di una dicotomia tra questi due valori: la spiritualità si è andata sviluppando nella nostra concreta vocazione come “Redentorista”, e perciò non può essere pensata a prescindere da questa connotazione. Vogliamo solo sottolineare il linguaggio usato dal Capitolo. L’insistenza con cui esso è tornato sulla semplice “spiritualità”, implica almeno tre conseguenze.

20. La prima è che ci andiamo accorgendo che vanno riscoperti i “fondamenti” della nostra vita spirituale. Molto più che una conoscenza specifica del nostro carisma, abbiamo bisogno di ricomprendere la struttura di una vita di fede e il senso elementare della consacrazione. Se la conoscenza specifica diventa fine a se stessa, rischia di diventare un esercizio puramente accademico.

21. La seconda conseguenza è che non dobbiamo peccare di miopia, concentrando la nostra attenzione semplicemente sul nostro specifico e dimenticando l’orizzonte ampio ma esigente della spiritualità, in cui si colloca il carisma Redentorista. “Nella grande santa Chiesa, la Congregazione non è una cappella laterale. La sua missione la pone nel centro della chiesa, là dov’è l’altare e viene celebrato il mistero della pasqua di Cristo per la salvezza del mondo. È chiamata a realizzare ciò che è centrale, a continuare Cristo e l’evento della salvezza che è in Cristo. Qual è dunque, la sua specificità nel complesso della Chiesa? La sua specificità sta nella realizzazione dell’essenziale, secondo un’intensa pienezza” (F.X. Durrwell, C.Ss.R.). D’altra parte, non possiamo pretendere che la nostra spiritualità abbia elementi esclusivi, che ci caratterizzi immediatamente nella Chiesa. Gran parte dei fattori tradizionalmente ritenuti “Redentoristi” (il predicare ai poveri, la popolarità della missione, la Vita divota, ecc.) trovano riscontro in altre spiritualità e in altre Famiglie Religiose: è piuttosto il modo in cui questi elementi si tengono insieme che in un certo senso può caratterizzarci. E questo modo a sua volta comporta tanti altri fattori: lo stile di vita personale, il modo di rapportarsi e di parlare, un certo clima comunitario, ecc. tutti elementi che – a quanti ci accostano e ci conoscono da vicino – fanno dire istintivamente “è un Redentorista”.

22. Una terza conseguenza – ma dovremmo dire la più importante – è che la scelta della spiritualità (ancor prima che della “spiritualità Redentorista”) impone al centro dell’attenzione di ognuno di noi la nostra relazione personale con Cristo per vedere se questa “ispira effettivamente e in modo privilegiato il nostro modo di vivere” (Messaggio finale, 1). “In qualsiasi contesto ci troviamo a vivere, crediamo che tutti noi Redentoristi siamo chiamati a mettere a fuoco un aspetto centrale della nostra spiritualità, vale a dire il modo in cui nutriamo ed esprimiamo la nostra relazione con Gesù Cristo” (Messaggio finale, 3). A questa relazione è lo Spirito Santo che incessantemente ci attrae e ci anima. E’ lui che suscita il desiderio di una risposta piena, facendo di ciascuno di noi una persona “cristiforme” (Vita consecrata, 19), E’ lui che “persuade” la nostra intelligenza, facendole accettare con gioia e per amore ciò che ad occhi umani può apparire semplicemente “follia”.

23. Per guardare più direttamente alla spiritualità Redentorista, le nostre Costituzioni ci offrono materiale sufficiente per definirla. Pregando con esse, studiandole, possiamo capire il perché della nostra vocazione e i tratti essenziali che la caratterizzano. In quelle pagine abbiamo modo di capire i vari aspetti dell’identità Redentorista, che sostanzialmente consiste nel “seguitare l’esempio del nostro Salvatore Gesù Cristo in predicare ai poveri la divina parola” (Cost. 1). Una crescente familiarità con la nostra “Regola di vita” ci permette di cogliere con uno sguardo d’insieme quella che è la nostra spiritualità, che altrimenti rimane qualcosa di indicibile.

24. Alla luce di questa scelta di fondo e della tradizione che ne è nata, possiamo individuare alcuni elementi costitutivi, tra i quali dobbiamo sempre distinguere ciò che è essenziale da ciò che è periferico, e che proponiamo alla vostra attenzione senza la pretesa della completezza o del rigore metodologico:

  • siamo Redentoristi: la nostra spiritualità si colloca nella teologia dell’incarnazione;
  • siamo missionari, e perciò essenzialmente annunciatori del Vangelo, il cui “cuore” è la misericordia;
  • il Redentorista ha un senso “popolare”, un approccio facile con la gente e un linguaggio semplice;
  • la spiritualità Redentorista è sorgente e frutto della missione (Messaggio finale, n. 6);
  • il Redentorista ha compassione dei poveri;
  • il nostro coinvolgimento pastorale, specialmente con i poveri e abbandonati, è costitutivo della nostra spiritualità (Messaggio finale, n.8).

25. Parimenti crediamo che dobbiamo riservare alla Madonna del Perpetuo Soccorso uno spazio più grande ed evidente nella nostra spiritualità. Lo zelo e la creatività dei Redentoristi hanno fatto di questa icona la più diffusa al mondo, ed essa può aiutarci a fare conoscere ulteriormente il nostro carisma. Inoltre questo titolo del “Perpetuo Soccorso” è del tutto in linea con la causa della Copiosa Redemptio.

26. Ma non dobbiamo dimenticare che la nostra è anche una spiritualità comunitaria, si impara nella comunità e deve essere tangibile anche in alcune concrete strutture comunitarie, dando soprattutto il dovuto spazio alla Parola di Dio, alla liturgia e all’Eucarestia (cfr. Cost. 27). Noi stessi, risalendo alla storia della nostra vocazione, possiamo dire che la spiritualità non l’abbiamo imparata dai libri ma dai confratelli, dal loro stile di vita, da un certo metodo di lavoro e di apostolato da noi osservato e lentamente “assimilato”. Risalendo ancora più indietro nel tempo, dobbiamo dire che la stessa nostra Congregazione si è caratterizzata sin dal suo nascere per via di precise scelte concrete e operative (ad esempio quella di “incarnare” la predilezione di Cristo per i poveri, fondando le case al crocevia di luoghi abitati dai più abbandonati). In ogni caso il nostro modo di avvicinare il tema della spiritualità deve farci chiedere se la nostra testimonianza è tangibile e in qualche modo condivisibile, e se le nostre strutture comunitarie e apostoliche sono al servizio di questa testimonianza.

27. La scelta che il Capitolo ha fatto a favore della spiritualità Redentorista è dunque di vitale importanza per noi, almeno per tre fondamentali ragioni:

  • un motivo psicologico vuole che nella spiritualità sia in gioco la nostra stessa identità. E’ sul carisma Redentorista che abbiamo “giocato” la nostra esistenza, è in questa “intuizione nello Spirito” che un giorno abbiamo ritrovato il nostro stesso volto. Le difficoltà proprie del nostro tempo o l’inadeguatezza delle strutture sono un problema certamente, ma che va superato avendo a cuore l’importanza di un simile traguardo;
  • una ragione teologica ci porta alla mente quanto dice il nostro Fondatore: “Iddio vuole tutti santi, ed ognuno nel suo stato, il religioso da religioso, il secolare da secolare, il sacerdote da sacerdote, il maritato da maritato, il mercadante da mercadante, il soldato da soldato, e così parlando d’ogni altro stato” (Pratica d’amar Gesù Cristo, cap. VIII). Se ognuno è chiamato a diventare santo nel proprio stato di vita, anche noi siamo chiamati ad “abbracciare” la nostra situazione e a cercare da Redentoristi oggi la volontà di Dio;
  • un motivo apostolico ci ricorda che andare dai poveri senza portare Dio con noi rischia di sfruttarli. È a partire dall’esperienza dell’amore di Dio che sant’Alfonso ha capito meglio le necessità dei poveri. Abbassare il livello della nostra vita spirituale e pretendere di essere credibili al cospetto dei poveri corrisponde ad una forma di illusione per noi e di inganno per i poveri stessi. E’ il nostro stesso progetto apostolico che si apre al fallimento.

Alcuni riflessi sulla nostra vita

28. “Crediamo che la Congregazione si veda oggi offrire una grande grazia di conversione al Redentore”. Questa frase del Messaggio finale del Capitolo (n.5) rischia di essere scambiata per una delle tante raccomandazioni al rinnovamento della nostra vita, che passano inosservate. In certi nostri contesti è diventato difficile affrontare l’argomento della conversione, per la paura di mettere in discussione diritti acquisiti o uno stile di vita che si è finito per ritenere “intoccabile”. Pur tuttavia lo splendido ruolo giocato dalla spiritualità nella nostra esistenza non è per favorire un senso di colpa o di fallimento, ma per aprirci, qui e ora e se solo lo vogliamo – alla novità di Dio. “Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19).

29. Ogni conversione è per oggi. “Ascoltate oggi la sua voce: “Non indurite il cuore”” (Sal 95,8), Ma uno sguardo attento al nostro tempo ci fa capire che rimandare questa conversione può essere fatale per il futuro della Congregazione e per il significato stesso della nostra missione. Oggi andiamo sempre più chiaramente comprendendo cosa vuol dire “continuare il Redentore” tra gli abbandonati. Oggi andiamo scoprendo la fame e la sete di vita spirituale di cui soffre il mondo. Oggi ci accorgiamo che questa fame e questa sete sono più acuti proprio nella misura in cui sono mascherate o strumentalizzate. Oggi disponiamo ancora di sufficienti energie personali e morali per decidere in modo concreto e coraggioso.

30. La scelta della spiritualità comporta il recupero urgente di un atteggiamento di fondo, che si rivela concreto nella misura in cui sostiene un progetto apostolico. Siamo chiamati a maturare uno “sguardo contemplativo sulla vita” (Orientamenti sul tema della spiritualità, Introduzione), tale da farci riscoprire la ricchezza del nostro mondo interiore (cfr. Cost. 24). Familiarizzando con questo mondo, possiamo dialogare con Dio come figli, e coltivare una memoria dei “passi” che Dio ha percorso nella nostra storia facendoci suoi. Dobbiamo riscoprirci personalmente “redenti”, per poter essere credibilmente “Redentoristi”. D’altra parte, uno stile di vita perennemente “in superficie”, una incapacità a meditare, a fermarsi sulla parola di Dio e a fare silenzio non è una base valida per un progetto di spiritualità. Il problema si acutizza, poi, quando questa incapacità è diventata “stile di vita comunitario”. Ben sappiamo che ci sono situazioni comunitarie e apostoliche in cui è difficile salvaguardare un clima di silenzio e di preghiera, e in vari casi è giusto che sia così. Pur tuttavia, ogni comunità dovrebbe fare una verifica al riguardo, per cercare le soluzioni più opportune e sanare l’evidente squilibrio che c’è tra il bisogno di spiritualità da una parte e i momenti o gli strumenti in cui questo bisogno viene appagato, a livello personale e comunitario.

31. Se la conversione ci vede impegnati in questa attenzione ad intra, pur tuttavia non dimentichiamo che essa ci deve proiettare contemporaneamente ad extra, al duplice confronto con la Chiesa e con il regno di Dio, all’interno del quale ha senso il nostro carisma. Questo ci chiede concretamente di tessere i giusti rapporti con le strutture ecclesiali locali, di conoscere meglio gli altri carismi, di ispirare sempre più alla gratuità il nostro servizio. Ci chiede anche di impegnarci a conoscere meglio come la Congregazione vive ed attua oggi – spesso con eroismo e creatività – il suo carisma nelle diverse Regioni del mondo. Esige un serio sforzo culturale per motivare il valore autentico del nostro servizio alla Chiesa e al mondo.

32. Ma questa conversione ad extra ci chiede soprattutto di avvicinare il tema della spiritualità avendo per criterio il nostro servizio alla missione. “La nostra spiritualità è anche modellata dalla provocazione a entrare nelle lotte e nelle sofferenze dei poveri, dove Gesù continua a rivelarsi come servo sofferente” (Messaggio finale, 6). Così come hanno fatto i Capitolari, tutti noi dobbiamo chiederci “in che misura il nostro impegno per i poveri è espressione della nostra spiritualità, e in che modo esso ci aiuta a sviluppare una spiritualità più autentica” (Messaggio finale, n.8).

33. E’ importante che queste domande ci accompagnino già nel nostro abituale modo di considerare la spiritualità e nel nostro stile di preghiera personale e comunitario. Normalmente accade che una spiritualità sia modellata dagli eventi che colpiscono le nostre persone e suscitano in noi domande profonde: sono delle notizie sconvolgenti, momenti di conflitto con noi stessi e con gli altri, fasi di vita particolarmente combattute, ecc. Noi crediamo che un Redentorista al centro della preghiera personale e comunitaria debba mettere sempre più il grido dei poveri, le loro preoccupazioni, i problemi della vita quotidiana, le situazioni di ingiustizia e di oppressione. Questo gli permette non solo di contribuire alla Copiosa Redemptio, ma di rendere anche puro il suo sguardo per un apostolato generoso e concreto.

34. La sfida della spiritualità provoca anche ciascuno di noi a identificarci con i poveri, dinanzi ai quali molti Redentoristi, a cominciare da sant’Alfonso, hanno avuto una decisiva conversione. Ma questo cambiamento ha concreti riflessi sul nostro stile di vita, ispirandolo alla semplicità e all’essenzialità? Ci guardiamo a sufficienza dal rischio del consumismo? Come potranno le nostre orecchie rimanere sensibili, quando il rumore del mondo ci fa sordi alla voce dei poveri o le nostre abitudini sono così diverse dalle loro?

35. Parimenti questa spiritualità “modellata dalla nostra attenzione ai poveri” deve comportare un investimento a livello di cultura. Dobbiamo fare tutti del nostro meglio per motivare teologicamente e apostolicamente il nostro servizio ai poveri in questa fase della nostra storia, in cui la caduta delle grandi ideologie finisce con l’emarginare ulteriormente quelli che sono gli abbandonati. Dobbiamo sempre ripartire con coraggio da domande come queste: in che modo la nostra spiritualità è segno di contraddizione nella società in cui viviamo? Il nostro essere nel mondo ci fa rassegnare in modo acritico e passivo alla logica del mondo (Gv 17, 11.14)? Siamo noi ad adeguarci alla società, o siamo un segno per essa? In cosa consiste la nostra “profezia” nell’annunciare il Vangelo e il carisma Redentorista? In che modo il nostro carisma è chiaro ed è credibile come proposta vocazionale agli occhi dei giovani? Come ci poniamo nel dialogo con altre chiese, religioni e culture?

36. Queste domande possono apparire esigenti al punto da scoraggiarci, o favorire l’idea di un certo pessimismo con cui il Governo Generale guardi al presente e al futuro della Congregazione. Vogliamo invece ribadire la grande fiducia che anima il nostro servizio e il nostro giudizio sul ruolo che la storia ci chiama a giocare: e la spiritualità ci offre l’occasione di rendere più credibile questo ruolo, più incisivo il nostro servizio. Questa fiducia si radica anche nella bellezza della nostra storia: in essa troviamo radici sufficientemente profonde perché lo Spirito produca oggi nuova linfa. Testimoni straordinari e normali della nostra tradizione raccontano ancora oggi di una santità gioiosa, certo non immune da problemi, ma anche umanamente appagante. La loro comunione entusiasta col Cristo redentore e la loro prontezza a riconoscerlo nei poveri ci dicono che la “sfida” continua, perché Cristo (Mt 28,20) e i poveri (Mc 14,7) sono sempre con noi. Non ci mancherà mai la “materia prima” per una dedizione generosa! E la spiritualità con cui i Redentoristi hanno da sempre attuato questa dedizione non smette di essere attuale.

37. Di questa “fatica” propria del nostro tempo sono chiamati a farsi carico in primo luogo i Superiori, locali e (vice)Provinciali. Di fronte alle tante esigenze che il loro ruolo richiede, e soprattutto in assenza di quelli che un tempo erano i punti di riferimento condivisi (la Regola, l’orario, l’ubbidienza assoluta, ecc.), essi talvolta possono sentirsi impreparati e scoraggiati. La spiritualità li provoca ad andare alle radici profonde del loro servizio (che sono poi quelle dell’amore e dell’attenzione alle persone), chiede loro di essere pastori più che amministratori. Sappiamo che questo non basta per un espletamento ottimale del loro mandato, ma senza dubbio contribuisce a conferirgli un senso e una prospettiva di speranza.

Conclusione

38. Riteniamo che questa Communicanda debba sostenere un processo di discernimento avviato già col Capitolo Generale, anche là dove esso non ha avuto ancora attuazione concreta. E’ un processo da cui nessuno – a partire dallo stesso Governo Generale – deve ritenersi dispensato. La scelta del Capitolo Generale diventerà effettiva se troverà riscontro in un “cammino” promosso a livello locale e nelle iniziative che lo segneranno. Se a livello (vice)Provinciale occorrerà attendere il programma opportunamente organizzato dal Governo (vice)Provinciale (ad esempio con la promozione di corsi di formazione, tracce di riflessione, assemblee o Capitoli provinciali, ecc.), è vero anche che ogni comunità può e deve prevedere le occasioni in cui riflettere e decidere sulla spiritualità (revisione di vita, organizzazione e qualificazione della preghiera, ecc.): occasioni che sarà opportuno far rientrare in quel “progetto di vita comunitaria” richiesto dal Capitolo Generale (Postulato 3.1).

39. Per una piena attuazione della scelta del Capitolo Generale, si rivelano di grande aiuto gli Orientamenti sul tema della spiritualità, che vanno considerati organicamente uniti a questa Communicanda. Riteniamo che con questi Orientamenti il Capitolo ha affidato alle diverse Unità un materiale consistente di possibili, concrete iniziative da attuare a livello locale. Ogni (vice)Provincia vi troverà quanto necessario per un programma adatto alla propria situazione, per la definizione del quale sarà opportuno tenere presente l’aiuto che ci possono dare le Consorelle dell’Ordine del Santissimo Redentore e i Missionari e Cooperatori Laici Redentoristi.

40. Da parte sua, il Governo Generale si propone di sviluppare “un programma di rinnovamento per i confratelli, basato sulle fonti alfonsiane e redentoriste, se possibile sui luoghi storici alfonsiani” (Postulati approvati dal XXII Capitolo Generale, 4.1) e di “proseguire nell’idea di promuovere più corsi di spiritualità nella forma che si riterrà più opportuna” (4.2). Così ricordiamo che sono previste “riunioni di Superiori maggiori e Superiori regionali nelle Regioni, verso la metà del sessennio, per valutare la risposta delle unità al XXII Capitolo Generale” (Orientamenti sul tema della spiritualità, 10.1) e l’incontro – già sperimentato come positivo nello scorso sessennio – dei neo eletti Superiori Maggiori delle diverse (vice)Provincie. Crediamo inoltre che questa Communicanda può e deve aiutare durante la visita del Governo Generale alle (vice)Provincie, per un confronto sulle tematiche trattate e per una loro applicazione alle situazioni concrete. Ma riteniamo indispensabile la collaborazione delle (vice)Provincie per l’attuazione di questi programmi e – cosa ancora più importante – ci preme avere sin da ora dalle varie (vice)Provincie un riscontro che risponda almeno alle domande: quali sono i punti della Communicanda che riflettono più da vicino i problemi a livello locale? Quali decisioni concrete ci si propone di adottare? Quale aiuto si attende dal Governo Generale?

41. Affidiamo, fratelli carissimi, questa traccia di riflessione all’azione feconda e creatrice dello Spirito Santo, in quest’anno 1998 che la Chiesa vuole dedicato in modo particolare alla Terza Persona della Santissima Trinità. Egli “ci faccia gustare la sua amicizia, ci riempia della sua gioia e del suo conforto, ci aiuti a superare i momenti di difficoltà e a rialzarci con fiducia dopo le cadute, ci renda specchi della bellezza divina. Ci dia il coraggio di affrontare le sfide del nostro tempo e la grazia di portare agli uomini la benignità e l’umanità del Salvatore nostro Gesù Cristo” (cfr. Vita consecrata, 111). A tutti voi i nostri saluti più cordiali e fraterni, che vi preghiamo di estendere alle Consorelle dell’Ordine del SS. Redentore e alle altre Religiose della famiglia Alfonsiana, ai Missionari e ai Cooperatori Laici Redentoristi.

A nome del Consiglio Generale,

P. Joseph Tobin , C.Ss.R.,
Superiore General

 

(Il testo originale è questa in lingua italiana.)

 

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