Scopriamo il vino migliore alla fine Riflessioni sulla terza età

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Communicanda III – 1997-2003

 

COMMUNICANDA N° 3
8 dicembre 2000
N° Prot.
0000  0265/99

Carissimi confratelli,

1.         Saluto tutti fraternamente in Cristo Gesù. I membri del Consiglio Generale si uniscono a me per porgervi i nostri più cordiali auguri per un nuovo anno ripieno di abbondanti benedizioni. La grazia del Signore sia sempre con voi.

Nella seconda Communicanda del Consiglio Generale, Guai a me se non annunciassi il Vangelo (14 gennaio 1999), manifestavo l’intenzione di inviare in seguito una lettera sul tema riguardante le necessità spirituali proprie alla ‘terza età’ (n° 41). La presente riflessione vuole essere una risposta a questo impegno.

2.         Anzitutto lasciate che spieghi che cosa intendo con la parola terza età. Se è vero che la prima età è quella dell’educazione, la seconda è segnata dalla produzione e dal lavoro, la terza età spesso viene usata in riferimento al periodo della vita di una persona che ha terminato il suo lavoro principale. Anche se penso sopratutto a voi che avete iniziato a vivere la terza età, il mio messaggio è indirizzato a ciascun confratello della Congregazione. Senza tener conto dell’età, come ci ricorda la Costituzione 55, siamo tutti fratelli della stessa famiglia e condividiamo la medesima vocazione: ognuno di noi è un missionario e tale rimane per tutta la vita. Ad ogni tappa della nostra esistenza e in qualunque situazione, dobbiamo sforzarci di vivere più pro­fondamente la nostra consacrazione religiosa. Ancor più, ecco dunque la legge fondamentale per la vita dei congregati: vivere nella comunità e, per mezzo della comunità, svolgere l’attività apostolica (Costituzione 21). La stessa Costituzione aggiunge che la comunità non è solo unione materiale di persone, è anche comunione fraterna di anime. Siamo chiamati a mettere in comune le nostre forze e le nostre debolezze, i nostri doni e i nostri limiti a favore della Missione o del Carisma che dà un senso alla nostra vita. Ogni comunità deve dunque affrontare il problema dell’invecchiamento e delle sue conseguenze per i missionari Redentoristi.

Perché questo problema?

3.         Come altre società, la nostra Congregazione deve affrontare una nuova realtà: il numero dei confratelli anziani aumenta significativamente. Nel momento in cui vi scrivo, tra i 5.569 confratelli professi della Congregazione, 520 hanno 80 anni e oltre, mentre 948 sono entrati nel loro settantesimo anno. Ciò significa che il 26% della Congregazione supera i 70 anni. Nonostante vi siano numerosi giovani – vi sono più Redentoristi professi sui vent’anni che sugli ottanta e oltre e più trentenni che settantenni – la Congregazione non ha mai avuto un numero così alto di membri anziani. E’ un dato di fatto che nessuno tra noi può ignorare. Tutto ciò ci presenta delle sfide che dobbiamo affrontare per crescere insieme, fedeli, quale comunità inviata a predicare e testimoniare la Buona Novella del Regno.

4.         I Redentoristi non solo vivono più a lungo, ma raggiungono i 70 e gli 80 anni in uno stato di salute migliore e con maggiore energia che nel passato. D’altra parte è necessario offrire cure sanitarie ai Redentoristi gravemente malati.

Ma la sfida più grande per i Redentoristi anziani non consiste nell’affrontare problemi di salute, ma piuttosto vivere la loro consacrazione religiosa, sopratutto quando sono obbligati a limitare e, talvolta, sospendere le loro attività pastorali ordinarie. In questo periodo della vita, ridefinire o riorganizzare la propria identità concreta quali missionari corre il rischio di sottovalutarsi ai propri occhi.

5.         Le culture hanno atteggiamenti differenti verso le persone che stanno invecchiando o che sono già anziane. Alcune hanno venerazione per i propri vecchi; il solo fatto di raggiungere una certa età conferisce alla persona una dignità che invita al rispetto della comunità. Ciò che per me è inquietante è la cultura mondiale emergente che idolatra la giovinezza, l’energia e la duttilità e trascura o tenta di ‘nascondere’ gli anziani. Tale prospettiva culturale è causa di grande angoscia al punto che molti fanno tutto ciò che possono per ‘rimanere’ giovani. Si incoraggiano le persone anziane o in via di diventarlo ad abbandonare il mondo del mercato del lavoro e della politica. Devono essere accuditi o messi da parte, ma certamente non presi sul serio, né stimolati a continuare nella collaborazione con la società. Sopratutto per gli uomini, lavoro e rendimento sono talmente legati che, quando qualcuno non ne è più capace, sembra che la stessa vita non abbia più senso. E, finalmente, la morte è diventata tabù. Non se ne deve mai parlare nella buona società e certamente non come un passaggio al quale tutti devono prepararsi coscienziosamente.

La situazione nella Congregazione

6.         Dobbiamo riconoscere che la Congregazione viene certamente influenzata da questa ambivalenza verso gli anziani. In alcune regioni del mondo, la mentalità secolarizzata della ‘pensione’ colpisce fortemente la vita dei Redentoristi. Dovrebbe essere chiaro che le funzioni di un confratello dovrebbero cessare quando raggiunge una certa età. In alcuni casi, i Redentoristi anziani sono liberati da responsabilità importanti nella comunità, qualunque sia il loro stato fisico e mentale. Alcuni Redentoristi considerano la pensione come un diritto acquisito e conseguentemente, ad una certa età, si aspettano di essere liberati dai doveri della comunità, per seguire i propri interessi. Vi sono delle province nel mondo sviluppato dove il fatto di ricevere la pensione è diventato un problema spinoso quando i confratelli considerano questa entrata come proprietà personale. A volte le sole preoccupazioni che hanno gli anziani sono i problemi che riguardano la salute, mentre vengono trascurati i bisogni spirituali specifici a questa tappa della vita.

7.         Quando io e gli altri membri del Consiglio Generale visitiamo le province, spesso siamo edificati da confratelli anziani. Con il tempo intensificano la loro identità missionaria. Sono capaci di condividere con gli altri, specialmente con i giovani, la saggezza acquisita. Ogni anno ricevo lettere dei nostri giubilari, fratelli o padri, che celebrano i 50 anni e più di vita nella Congregazione. Sono lettere piene di riconoscenza, di umiltà e di zelo. A volte sono talmente commosso che condivido la loro testimonianza con i membri del Governo Generale.

8.         Malauguratamente, il solo fatto di essere anziani non garantisce di avere questi sentimenti. Durante le visite incontriamo anche Redentoristi delusi, disincantati e a volte persino amari. Ancor più commoventi sono i confratelli angosciati per i cambiamenti rapidi sperimentati nella Chiesa e nel nostro Istituto. Alcuni pensano che la Congregazione sia stata infedele al proprio carisma e alla sua missione nella Chiesa e concludono dicendo che Dio ha abbandonato la Congregazione.

9.         Sono queste alcune situazioni e inquietudini che mi hanno spinto a scrivere questa lettera. Vorrei offrire alcune riflessioni alla luce dell’ultimo Capitolo Generale che ci raccomanda di: “rileggere tutte le dimensioni della nostra vita a partire dalla prospettiva della spiritualità” (Messaggio finale, n. 5). Lo scopo che mi prefiggo è quello di invitare ciascuno di voi a riflettere su: “in che modo nutriamo ed esprimiamo la nostra relazione con Gesù Cristo” (Messaggio finale n. 3), come comunità, in questi ultimi anni? Quali sono le sfide della conversione per seguire Gesù più intimamente in tutte le tappe della nostra vita missionaria?

10.       Ci sono anche ragioni personali che motivano questa lettera. Ho avuto il privilegio e la grazia di trascorrere i miei primi anni nella Congregazione assieme a un buon numero di magnifici confratelli della terza età. Le loro parole e il loro esempio continuano ad influenzarmi ancora oggi. Questi Redentoristi hanno condiviso con me il loro segreto di predicatori. Mi hanno legato alla storia della mia Provincia. Mi hanno insegnato ad amare la Congregazione e ad aver fiducia nel suo futuro. La maggior parte di essi sono morti e io prego affinché possano gustare completamente la dolcezza di Dio. In segno di riconoscenza, dedico questa lettera a tutti questi testimoni fedeli, nella speranza che le riflessioni in essa contenute mi aiutino ad essere un buon Redentorista nei miei ultimi giorni, affinché anch’io possa aiutare un giovane confratello all’inizio del suo pellegrinaggio.

La vita come un pellegrinaggio

11.       Il pellegrinaggio è un’esperienza sacra che si trova nella maggior parte delle grandi religioni e in molte culture. E’ interessante constatare che la nozione di pellegrinaggio continua ad essere presente in certe società dove le altre espressioni religiose tradizionali sono sparite sotto l’influsso della secolarizzazione. Può darsi che sia così poiché il pellegrinaggio è una sorta di paradigma sul modo in cui gli uomini fanno l’esperienza della vita stessa. Percepiamo infatti, o almeno speriamo che le nostre vite non siano intese semplicemente come il prodotto di una combinazione casuale di atomi, di un destino cieco o di pulsioni biologiche. Intuiamo che le nostre vite iniziano in un luogo e che andiamo verso qualche parte. Come pellegrini che camminano in direzione di un santuario invisibile, così noi scegliamo di dare un senso al nostro viaggio della vita ‘camminando’ verso un luogo o una Persona che spesso intravediamo soltanto “come in uno specchio, in maniera confusa” (1 Cor. 13, 12).

12.       La santità del pellegrinaggio non è percepita semplicemente all’arrivo della meta desiderata. La vocazione al pellegrinaggio è anche vissuta ogni giorno, in ogni ora, in ogni minuto del pellegrinaggio: in ogni passo compiuto con fede. Percorrendo il cammino della vita, prendiamo coscienza di un paradosso: cambiamo radicalmente lungo la strada, mentre rimaniamo sempre noi stessi. Intendo dire che possiamo identificare tappe importanti o parti conosciute dove passiamo quando il cuore della nostra identità rimane misteriosamente lo stesso. Una metafora comune per questo paradosso è quella del giorno, che ha un mattino, un mezzogiorno e una sera, percepiti direttamente, ma ben saldi in una sola unità. Anche se bene unita, ogni tappa della vita possiede un valore autonomo che deve essere apprezzato così com’è e non come la preparazione alla fase seguente.

13.       A volte può capitare che circostanze particolari possano obbligare una persona a passare prematuramente a una tappa successiva della vita. Penso al trauma dei bambini che sono costretti dalla povertà ad assumersi responsabilità da adulti, come quello di provvedere alla famiglia o di aver cura di un parente ammalato. Consideriamo una tragedia quando una vita umana finisce prematuramente, prima ancora che la persona possa svilupparsi e ‘vivere’ veramente. E nel nostro cammino è anche possibile far resistenza al passaggio da uno stato all’altro, come l’adulto che desidera rimanere un eterno adolescente. Ma tale lotta è inutile e frustrante, poiché ci troviamo sempre di fronte all’evidenza che, lo si voglia o no, stiamo di fatto attraversando differenti tappe del cammino della vita. In altre parole, siamo sempre posti davanti al fatto del nostro invecchiamento.

14.       La presa di coscienza dell’invecchiamento ha influenzato autori spirituali così diversi tra loro come Paolo apostolo e il Papa Giovanni Paolo II. Paolo usa la metafora della crescita umana o dell’invecchiamento per descrivere il progresso del discepoli (p.e. 1 Cor. 3, 1-2; 13, 11). Giovanni Paolo II, nella sua esortazione apostolica Vita Consecrata (1996), stimola i religiosi a riconoscere le diverse tappe della vita e a non lasciare mai di lottare per progredire umanamente e come persone consacrate, perché “in alcuna tappa della vita ci si può considerare come abbastanza sicuri di se stessi e ferventi per escludere la necessità di sforzi determinati per assicurare la perseveranza nella fedeltà, così come non esiste età in cui si possa vedere compiuta la maturazione della persona” (n° 69).

15.       Che cosa significa essere Redentorista quando uno non è più in grado di svolgere un apostolato o assumere delle responsabilità come quando era più giovane? Grazie a Dio, la risposta della Congregazione a questa situazione non comincia con questa lettera. Molte (vice)province hanno già programmi specifici come risposta ad esigenze fisiche e affettive dei confratelli in età avanzata. Siamo in grado di offrire una bibliografia importante di scrittori spirituali contemporanei, anche Redentoristi, che studiano le sfide proprie al discepolo della terza età. Spero che i confratelli in particolare e i governi (vice)provinciali siano al corrente di tali risorse e se ne servano. Può darsi che questa lettera ci sia di stimolo per pensare al numero crescente di confratelli anziani nella Congregazione, prendendo coscienza che i loro bisogni vanno oltre le cure della salute e il loro passatempo, giacché non si va in pensione dalla propria professione religiosa: la professione religiosa diventa l’atto decisivo di tutta la vita missionaria dei Redentoristi ( Cost. 54).

16.       Desidero porre un limite a queste riflessioni. Non voglio trattare a fondo ciò che significa invecchiare. Anzitutto mi fermerò a un elemento dell’invecchiamento: quello del declino della vita. Dopo vedremo se questa esperienza possa essere anche un’occasione di progresso spirituale. Quanto segue può essere sviluppato e arricchito da voi, sopratutto dai confratelli più avanti negli anni, che possono riflettere sulle esperienze della vita con quella saggezza che si raggiunge solo nella terza età. Mi auguro che la Congregazione continui ad aiutare i Redentoristi della terza età affinché possano approfondire il loro impegno verso il Redentore, apprezzando il loro modo speciale di vivere il nostro carisma.

Essere condotti là dove non vogliamo andare

17.       Tra gli incontri dei discepoli con il loro Maestro risorto, uno dei più commoventi è quello riferito nell’epilogo del Vangelo di Giovanni. Il racconto parla dell’apparizione di Gesù sulla spiaggia del lago di Tiberiade. Questo racconto ha dei dettagli accattivanti: l’errore dell’identità, una pesca miracolosa, un’ondata impetuosa e un pasto cotto sul posto. Il racconto continua con la triplice professione di amore di Pietro e la missione confidatagli dal Signore di una vita di carità apostolica.

Allora Gesù gli dice in che modo finirà quella vita rendendo gloria a Dio:

In verità, in verità ti dico:
quando eri più giovane
ti cingevi la veste da solo,
e andavi dove volevi;
ma quando sarai vecchio
tenderai le tue mani,
e un altro ti cingerà la veste
e ti porterà dove tu non vuoi. (Gv. 21,18)

Quando medito questa scena, cerco di immaginare Gesù mentre dice queste parole a Pietro. Penso che Gesù guardasse il suo amico negli occhi, parlandogli con tenerezza e con una calma rassicurante. Il Padre ha un progetto per Pietro. Non sarà facile, ma la sua vita avrà un senso e un valore. Pietro è invitato a una vita di carità pastorale, ma ciò che ‘renderà gloria a Dio’ sarà in effetti la sua morte. E le ultime parole di Gesù rivolte a Pietro (Gv. 21, 19, ripetute al versetto 22) sono le stesse delle prime parole rivoltegli nei Vangeli (p.e. Mc. 1, 17): Seguimi.

18.       Vi sono numerosi tratti nella tappa della vita che stiamo considerando in questa riflessione. Mi chiedo se la descrizione profetica dell’età avanzata di Pietro, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi, non ci parli eloquentemente di una caratteristica essenziale di questa tappa della vita? La metafora dell’essere limitati e condotti dove non si è scelto di andare pare proprio la descrizione dell’esperienza inevitabile delle persone della terza età.

La terza età e i suoi limiti

19.       E’ facile constatare in certi confratelli i reali limiti nelle loro sofferenze. Per essi, l’invecchiamento significa l’inizio di una malattia che indebolisce, costretti a letto e totalmente dipendenti dagli altri. Ma non è forse vero per tutti che, nonostante lo stato di salute, l’invecchiamento comporta tutta una serie di perdite? Anche nei casi di anziani vigorosi, c’è una profonda presa di coscienza della natura transitoria delle cose. Si ha l’impressione che il tempo passi troppo rapidamente e i giorni, le settimane, gli anni sembrano fuggire, praticamente senza accorgersene. C’è una sensazione ossessiva che qualcosa finisce. Parliamo della ‘sera’ o de ‘l’autunno’ della vita. Il viaggio ci conduce là dove noi preferiremmo non andare. Infatti, prima di affrontare la dissoluzione finale che è la morte stessa, vi sono diverse piccole morti che segnano il nostro cammino di pellegrinaggio.

20.       Terza età significa affrontare il declino della vita che si traduce in modi diversi e sotto differenti forme. Vi è il calo fisico che porta con se malattie e anche sofferenze terribili. Può verificarsi il deterioramento delle nostre capacità mentali e la demenza. La morte dei nostri amici più cari nella Congregazione e dei nostri parenti aumenta incessantemente la sensazione di essere soli. La perdita percepita nell’invecchiamento non si limita al corpo, allo spirito e alle relazioni umane. Attinge anche la nostra intelligenza quali missionari Redentoristi, invitandoci necessariamente a ripensare che cosa significhi la nostra professione religiosa nelle ultime tappe della vita. Il nostro fondatore ha dovuto certamente lottare con questa realtà.

L’esperienza di Alfonso

21.       Se avete visitato Scala, dove è nata la Congregazione, avete certamente pregato nella cappella che conserva la grotta di Alfonso. Era un’oasi per il nostro Padre durante le settimane e i mesi tumultuosi che seguirono l’evento decisivo del 9 novembre 1732. Alfonso veniva in questa piccola grotta e vi passava ore in preghiera pensando ai primi passi incerti della sua Congregazione, soffrendo per l’abbandono praticamente di tutti i suoi compagni, chiedendo a Dio e alla sua santa Madre la forza per continuare l’opera iniziata. Oggi, il visitatore vede una semplice tavola di legno appesa in un angolo della grotta. Vi si leggono le parole attribuite ad Alfonso dal Tannoia, il suo primo biografo: “Oh la grotta, la mia grotta, possa io riposare ancora nella mia grotta” (II, 97). Queste parole sono attribuite al vecchio Alfonso, che sognava di ritornare a questa “cella mistica, da dove usciva infiammato dall’amore di Dio e con una passione senza riserve per la salvezza delle anime” (Tannoia, ivi).

22.       Penso che Alfonso non si augura semplicemente un luogo particolare per pregare. Esprime la sofferenza del passaggio dell’uomo di trentotto anni che pregava in quella grotta. Può darsi che agli occhi del vecchio Alfonso, tutto potesse essere più chiaro in quella piccola grotta. Allora aveva un’idea più chiara di chi fosse e di ciò che doveva fare. Quarant’anni dopo, dopo aver lasciato la sua diocesi e fatto ritorno a Pagani, Alfonso è costretto a riscoprire il senso dell’essere Redentorista. Non è più in grado di ancorare la sua identità nella predicazione delle missioni – non ne aveva più predicate negli ultimi venti anni. Non aveva più l’autorità di una volta di fronte ai suoi fratelli. Andrea Villani, il vicario generale, aveva governato la Congregazione durante la lunga assenza del fondatore. E non abbandona la carica quando Alfonso ritorna da Sant’Agata dei Goti. E’ pur vero che Alfonso continua a scrivere e, certamente in alcuni casi, fa ciò che vuole, come per esempio il rifiuto categorico di abitare la bella camera preparatagli a Pagani, preferendone una più semplice. Ma avere una stanza come tutte le altre per lui non è sufficiente. Alfonso dovrà scoprire il senso di essere Redentorista nella sua vecchiaia, sopratutto essere un fratello tra i fratelli nella sua comunità.

23.       La maggior parte tra noi ha trovato – o troverà – la sua ‘grotta’. Più che un luogo, questa ‘grotta’ è il ricordo di se stessi all’epoca dove ci si sentiva più vivi, più missionari, più impegnati in progetti di vita. Ripensare a questa tappa della nostra vita, ci riporta irrimediabilmente al passato e sapere che questo tempo non potrà mai tornare può causare una specie di emozione dolce-amara che Alfonso ha provato per la sua ‘grotta’. Tale perdita fa parte dell’essere umano e causa un rimpianto. Ciò che sembra essere un ostacolo alla crescita spirituale e l’incapacità ad accettare il declino che accompagna l’invecchiamento, sopratutto quando non si è più in grado di fare il proprio lavoro apostolico o avere le stesse responsabilità nella provincia.

24.       Tutti i maestri di spirito insistono sul fatto che la conoscenza di se stessi è la base indispensabile sulla quale costruire e far crescere la propria vita con Dio. Il grande nemico della spiritualità è il negare o, meglio, il rifiuto, illudendosi, di accettare se stessi e i propri limiti. Nel caso di un Redentorista che va verso la vecchiaia la negazione può essere la tentazione di cercare di ritrovarsi nella propria ‘grotta’ o di attaccarsi ostinatamente a quelli che pensano essere stati i suoi giorni di gloria. Una tale negazione è difficile o impossibile da sostenersi, ma si trovano dei confratelli che resistono con tutte le loro forze a ridurre la loro attività apostolica, anche quando è chiaro che non hanno più l’energia o la formazione per continuarla. A volte un superiore è costretto a prendere la difficile decisione di rimuovere un confratello da un ministero che supera le sue possibilità. Può anche verificarsi il caso che dopo aver lasciato un ministero che li ha occupati per la gran parte della vita, alcuni confratelli siano ossessionati dalla propria salute fisica, appuntamenti con i medici, la televisione o qualunque sorta di distrazione. Inconsciamente possono arrivare a provare una certa gelosia nei confronti di confratelli giovani che spesso si traduce in una gioia maligna nell’indicare i loro difetti e le loro sconfitte. Il fatto che alcuni confratelli anziani diventino tiranni nella loro comunità è non tanto il risultato del processo di invecchiamento quanto piuttosto il fatto di non accettare la nuova tappa del loro pellegrinaggio e sono incapaci di trovare una sana spiritualità come Redentoristi anziani.

25.       Nel corso del pellegrinaggio della vita, acquistiamo sempre più coscienza che veniamo condotti là dove non abbiamo scelto di andare. La diminuzione delle forze fisiche e mentali, la morte di amici e parenti e la fine dell’impegno nelle attività che hanno occupato un Redentorista per molti anni sono le particolari sfide dell’ultima tappa della vita. In che modo in confratelli che hanno raggiunto questa tappa potranno trovare la serenità e la gioia di fronte a queste perdite?

“Considerando tutto il resto come una perdita”
…non come una sconfitta

26.       Nella terza età vi è un paradosso vivificante. Eccolo. Quando il Redentorista si sente limitato e condotto là dove preferirebbe non andare, pensando di scendere un gradino e più ancora scivolare verso la morte, nello stesso tempo è chiamato a vivere in una maggiore libertà. Questa sembra essere l’esperienza di persone che prendono sul serio il loro pellegrinaggio verso Dio: che un giorno dovranno confrontarsi con l’attaccamento alle cose destinate a sparire. Alfonso propone un cammino per acquisire una più grande libertà spirituale: ridurre la forza eccessiva delle circostanze della vita che limitano la persona, in modo che questa diventa progressivamente più libera di amare Dio.

Questo duplice movimento – allontanarsi da un attaccamento eccessivo e slancio verso l’amore di Dio – Alfonso lo chiama distacco. E’ un valore centrale del cammino spirituale che Alfonso propone nella Pratica di amare Gesù Cristo. Il capitolo 17 di quest’opera ci offre un riassunto toccante di questa dottrina di Alfonso.

Quel che ci impedisce la vera unione con Dio è l’attacco alle nostre disordinate inclinazioni: onde il Signore quando vuole tirare un’anima al suo perfetto amore, cerca di staccarla da tutti gli affetti dei beni creati. E così prima gli va togliendo i beni temporali, i piaceri mondani, le robe, gli onori, gli amici, i parenti, la sanità del corpo; e con tali mezzi di perdite, di disgusti, dispregi, morti e infermità, la va distaccando da tutto il creato, acciocché ella riponga in lui tutti gli affetti suoi.

27.       Può darsi che il termine distacco vi sorprenda; vi ricorda troppe conferenze sul tema quando eravate novizi? Può anche essere che tutti gli ostacoli concreti per una più grande unione con Dio incontrati da Alfonso e dai suoi contemporanei napoletani – i tentacoli di famiglie possessive, l’attrazione verso la fama mondana e il canto delle sirene della ricchezza – non siano di fatto problemi nostri. Ciò che Alfonso tenta di fare è questo: dobbiamo esaminare onestamente le nostre vite e comprendere dove il nostro cuore è maggiormente attirato. E’ nei nostri cuori che Dio desidera ardentemente di abitare. Nel capitolo 11 della Pratica, Alfonso chiede: “Avete un cuore abbastanza vuoto affinché lo Spirito Santo lo possa riempire?”

28.       E’ evidente che non è così facile unirsi completamente a Dio. Molti tra noi hanno paura di seguire questa strada perché comporta certe sofferenze. Ma qual’è l’alternativa? Possiamo tentare di anestetizzarci con il lavoro, il prestigio, le relazioni, l’alcool, la paura o il risentimento, per dimenticare il tempo che passa e le sue conseguenze. Ma nei momenti più lucidi, dovremmo guardare con terrore questa vita che ci scivola dalle mani e questo tempo, non più vissuto come kairos dove Dio si rivela, diventare un nemico.

29.       Anche se ci proviamo, non possiamo cambiare la maggior parte delle cose che ci arrivano. Questa verità, valida in tutti i momenti della vita, sembra divenire più evidente quando si invecchia. Ciò che è in nostro potere è determinare l’effetto che produce in noi la gente, i luoghi e le cose. Alfonso ci aiuta a vedere come le debolezze che affliggono la terza età possono diventare un invito ad abbandonarci alle cure di Dio, scoprendo e riscoprendo la profondità del suo amore fedele per noi.

Un cammino di Distacco

30.       Paolo propone un suo cammino di distacco nella sua lettera ai Filippesi. Il terzo capitolo potrebbe essere un eccellente sorgente di meditazione per la terza età. Come descrive Paolo il suo pellegrinaggio verso Dio? Inizia in un modo comune alle persone anziane: fa l’inventario della sua vita (Filip. 3, 4-6). Non cerca scuse per il suo passato, ma lo vede in modo nuovo: Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo (v. 7). Lungi dal prendere il cammino più sicuro, Paolo vuole rischiare tutto.

Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dei morti. (Filip. 3,8-11)

31.       Paolo è cosciente di non aver raggiunto il fine ma che cammina nella direzione buona. Sceglie di accettare quello che gli arriva, compresa la perdita di tutto ciò che pensava fosse prezioso nella sua vita, come prezzo da pagare per guadagnare Cristo Gesù. In principio non disprezza ciò che ha perduto; soltanto che non è possibile per lui paragonare nulla al valore inestimabile della sua relazione con Cristo Gesù.

Libertà di amare

32.       Paolo e Alfonso insegnano che la perdita può offrire una più grande libertà spirituale, e cioè la liberazione da se stesso per amare di più e senza riserve. Un particolare modo redentorista di amare è chiamato dalle Costituzioni ‘la carità apostolica’: è la nostra parte nella missione del Cristo e il principio unificatore delle nostre vite (cfr. Cost. 52). La carità apostolica presuppone che la gloria di Dio e la salvezza del mondo, l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo sono un’unica cosa (Cost. 53). Per questo in tutte le tappe del loro pellegrinaggio, i Redentoristi sono chiamati a “vivere la loro unione con Dio con la forma della carità apostolica e, attraverso la carità missionaria, cercare la sua gloria”. Il XXII Capitolo Generale ha riconosciuto la chiamata di tutta la vita alla carità apostolica quando ha raccomandato (Orientamenti 2.4):

Ogni membro della Congregazione, indipendentemente dall’età, cerchi il modo di essere fedele al servizio dei più abbandonati, e specialmente i poveri, a favore dei quali abbiamo optato nel giorno della nostra professione.

33.       Senza dubbio, vi sono ministeri che i Redentoristi anziani possono offrire ai più abbandonati, sopratutto ai poveri. Penso ad esempio che i Redentoristi più avanti negli anni siano più efficaci nel donare compassione, conforto e speranza alle altre persone anziane e agli ammalati. Ma il luogo dove questi Redentoristi sono chiamati a praticare la carità apostolica è all’interno della comunità, dove la stessa vita è la forma principale della proclamazione del Vangelo (XXII Capit. Gen. Orientamenti, 3). Penso che vi siano servizi unici che i Redentoristi anziani possono offrire alle nostre comunità.

Il primo aiuto è quello che Alfonso cercava di dare. Nel novembre 1774, mentre stava per lasciare Sant’Agata, scriveva: “Quando sarò tornato in una delle nostre case, potrò essere utile ai soggetti, specialmente ai giovani”. Può darsi che Alfonso si vedesse come un tutore degli studenti per l’omilettica o per la teologia morale. I suoi biografi dicono che l’esempio della sua vita di anziano aveva un forte impatto sui giovani confratelli. Un Redentorista anziano che non si lascia abbattere dalle sofferenze e dai limiti dell’età, ma che conserva la gioia, l’amore e la speranza, è una guida ineguagliabile per i giovani confratelli.

34.       Il secondo servizio riguarda i dettagli della nostra vita comune. E’ stato osservato che spesso, cercando di fare qualcosa di spettacolare, perdiamo l’occasione di fare qualcosa d’importante, perché l’azione stessa non sembra degna di attenzione. Gli anziani possono offrire un grande aiuto alla qualità della nostra vita comune, facendo cose molto semplici. Ricordo un padre anziano che con la sua generosità dava sollievo al lavoro di tutti i confratelli di una comunità molto attiva. Nonostante un attacco cerebrale l’avesse lasciato mezzo paralizzato, ogni sera, rispondeva al telefono quando gli altri confratelli erano occupati nelle attività pastorali di una parrocchia difficile. Ricordo anche la mia prima visita a Roma dove ho incontrato Padre Bernhard Häring, anziano, mentre si prendeva cura dei fiori del giardino della comunità. Immagino che anche voi siate stati colpiti dalla generosità di qualche confratello anziano.

Scoprire il vino migliore alla fine (Gv. 2, 10)

35.       Giovanni della Croce ci ricorda che alla fine della vita saremo giudicati sull’amore. E’ forse per questo che al crepuscolo del nostro pellegrinaggio, siamo invitati a distacchi che ci rendono più liberi di amare. Come missionari, non dobbiamo ingombrarci di troppi bagagli. Alla fine della vita, tutto ciò di cui avremo bisogno, è l’amore: amare Dio come deve essere amato e amarci vicendevolmente come fratelli. L’amore di un Redentorista anziano, manifestato molto semplicemente, può lasciare un ricordo indelebile sui suoi confratelli, specialmente sui giovani.

36.       E’ l’amore che ‘invecchia’ il nostro spirito come il tempo fa con il buon vino. Al termine di una vita, l’amore ci darà dolcezza e profumo e non il sapore aspro dell’aceto. Ma questa sorta di amore non è mai totalmente alla nostra portata; deve essere l’oggetto permanente di tutta la vita: “tutta la loro vita quotidiana sarà caratterizzata dalla conversione del cuore e dalla continua riforma dello spirito” (Cost. 41). Il 24 novembre 2000, il padre Joseph Pfab, superiore generale emerito, ha concluso il suo pellegrinaggio. Al suo funerale, un giovane padre mi ha parlato del suo ultimo incontro con P. Joseph. Era un giorno o due prima della morte. Si stava per celebrare l’eucaristia nella sua camera d’ospedale. Il giovane padre gli chiese per quale intenzione doveva pregare. Padre Joseph ha risposto: “Pregate perché io sia convertito nell’ora della morte”. Paolo aveva lo stesso desiderio:

Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. (Filip. 3, 13-14)

37.       Maria, Madre nostra che, sempre presente con la sua preghiera, ha accompagnato la prima comunità apostolica e non esitò a dare se stessa al servizio degli altri, ci aiuti ad essere fedeli ogni giorno, ma sopratutto quando “soffriamo e moriamo per la salvezza del mondo” (Cost. 55).

Fraternamente in Cristo Redentore,

Joseph W. Tobin, C.Ss.R.
Superiore Generale

(Il testo originale è in inglese.)

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