“Cosa vuoi?”: Jacques Lacan sul desiderio

0
1014

(dal Blog dell’Accademia Alfonsiana)

Nella bocca o sotto la penna di Jacques Lacan la semplice domanda “cosa vuoi?” diventa una bomba. La bomba è destinata, come tante volte nel suo caso, a far esplodere le nostre illusioni su noi stessi. In ciò che segue desidero condividere con il lettore alcune riflessioni, quasi arbitrarie, su questa semplice ma potente arma.

Una prima linea di riflessione riguarda l’uso della lingua italiana. Lacan era molto teatrale, anzi istrionico, nei suoi stili terapeutici e didattici. Passare due parole dal francese all’italiano, scritte o parlate, avrebbe sicuramente avuto un certo effetto drammatico. Pronunciata con la forte intonazione di una domanda in italiano e accompagnata da un gesto insistente della mano, questa domanda mette subito l’interlocutore sotto pressione psicologica su più fronti. Le due più evidenti di queste riguardano le due parole di cui è composta la domanda.

“Cosa”, o meglio ancora “Cosa?”, Nel contesto del pensiero di Lacan, è un termine estremamente carico, caricato come una pistola. La parola in modo succinto pone domande e insinua giudizi. La prima domanda è: “Sai cosa vuoi?” o “Pensi davvero che quello che vuoi sia una cosa?” Un elemento chiave nel pensiero di Lacan sul desiderio è che non è mai in ultima analisi per l’oggetto desiderato, per la “cosa”. Anche se è possibile avere quell’oggetto il desiderio rimarrà sotto forma di mancanza e si volterà verso un altro oggetto, all’infinito. L’insinuazione è chiara: non sappiamo cosa vogliamo e non lo avremo mai, perché il nostro desiderio non è una “cosa”. Il danno alla psiche dell’aspirante soggetto autonomo è devastante: ogni volta che desidero qualcosa devo cercare di ricordare che il mio desiderio è molto, molto più profondo del mio desiderio di ciò che voglio.

“Vuoi” è anche una parola carica. In italiano questa parolina comporta l’infinito “volere” e una desinenza della 2a persona singolare “-uoi”. Dopo Freud, una delle ambizioni della vita di Lacan è stata quella di sovvertire la concezione comune del soggetto individuale autonomo. Il problema non è solo che non sai cosa vuoi ma non sai nemmeno chi sei.

“Que faire?”, Potremmo chiedere, imitando lo stile di Lacan. Da quanto sopra potrebbe sembrare che il suo messaggio sia di nichilismo e disperazione. Sebbene elementi di questi siano innegabilmente presenti nel suo pensiero, sarebbe ingiusto e impreciso ridurre la sua posizione a questo. Nel suo stile anticonformista, ha lavorato con i pazienti, ha scritto e tenuto seminari e conferenze per decenni. Quale sarebbe la sua risposta alla nostra domanda? Mettendolo in termini molto semplici, cosa che certamente non farebbe, potrebbe essere qualcosa del genere: “Il tuo desiderio è il tuo rapporto con il tuo essere, la tua forma umana di essere, o anche il tuo desiderio sei tu. Prendi sul serio il tuo desiderio ma abbi l’onestà e il coraggio di affrontarlo così com’è in tutta la sua radicale impossibilità. Non confonderlo con le tue esigenze, che potresti benissimo soddisfare. Essere umani è traumatico, è essere angosciosamente limitato in ogni momento (a causa del linguaggio). Salute psicologica non significa diventare un soggetto autosufficiente ma diventare un’apertura dolorosa all’altro e all’Altro”.

Lascio al gentile lettore il compito di riflettere sulle implicazioni di tutto questo per la teologia morale che intendo affrontare in un prossimo post.

p. Martin McKeever, CSsR

Print Friendly, PDF & Email